Ma Rainey’s Black Bottom | Recensione dell’ultimo film con Chadwick Boseman
Ma Rainey's Black Bottom è il gigantesco addio del compianto Chadwick Boseman. Una performance monumentale in un film potente. Un'opera che punta agli Oscar
Qualche tempo fa, in occasione del compleanno, abbiamo dedicato un articolo a Chadwick Boseman esaltandone la sua attività politica e sociale. Una filmografia all’insegna del Black Power, in un leitmotiv di ricordo ed esaltazione della storia afroamericana. Anche il suo addio si è rivelato al servizio di questa vocazione e non esitiamo ad affermare che siamo dinanzi ad uno dei momenti più alti della sua carriera. Ci sono due scene, in Ma Rainey’s Black Bottom, in cui Chadwick fa tremare le gambe allo spettatore. Emaciato, stanco, spiritato, Boseman ci dice addio attraverso una prova che lo consacra ulteriormente come icona del movimento afroamericano. Un grande attore, un meraviglioso uomo. Diciamo addio a Chadwick riconoscendogli la sua statura umana, inchinandoci di fronte al suo fervente idealismo.
Citando il reverendo King: “Un uomo chiamato a fare lo spazzino dovrebbe spazzare le strade così come Michelangelo dipingeva, o Beethoven componeva, o Leontyne Price cantava al Metropolitan Opera, o Shakespeare scriveva poesie. Egli dovrebbe spazzare le strade così bene al punto che tutti gli ospiti del cielo e della terra si fermerebbero per dire che qui ha vissuto un grande spazzino che faceva bene il suo lavoro”. E Chad lo ha fatto il suo lavoro….dedicandolo alla propria gente, al proprio ideale, alla lotta del suo popolo. Wakanda Forever non è un semplice motto da blockbuster, ma un sentimento totalizzante che attraversa milioni di persone. Un bambino da qualche parte del mondo incrocerà le braccia al petto sentendosi una pantera nera, un giorno sarà un adulto che apprenderà la propria storia anche grazie a Chad. “Vogliamo ottenere la libertà con tutti i mezzi necessari. Vogliamo ottenere la giustizia con tutti i mezzi necessari. Vogliamo ottenere l’uguaglianza con tutti i mezzi necessari”, il Cinema è uno di questi.
Ma Rainey’s Black Bottom | Recensione
Il film si apre con due giovani afroamericani che corrono in un bosco nel cuore della notte, conoscendo la trama pensiamo a una fuga dai suprematisti bianchi. Scopriamo che siamo in Georgia nel 1927 e in nostro aiuto arrivano luci calde e note sommesse, la fuga rallenta dietro a una fila. Con uno zoom ci ritroviamo dinanzi alla scappatoia principale per gli afroamericani agli inizi del ‘900: la musica. Questa ha il volto di Viola Davis, la Madre del BluesMa Rainey. Sulle note di Deep Moaning Blues ammalia il pubblico e la camera stringe pian piano sul suo volto oscurando i contorni dell’inquadratura, le luci si spengono, illuminata da un flebile chiarore, il primo piano si fa sempre più buio fino a quando la Storia prorompe.
Siamo pur sempre in Georgia nel 1927, la musica è solo una sottile linea tra il paradiso e l’inferno. “Venite al Nord!” titolano i giornali invitando gli afroamericani in una illusoria terra promessa. In molti andranno obbedendo al richiamo, compresa Ma, impegnata nella registrazione di un disco. Ci ritroviamo in una calda, insopportabile, afosa giornata a Chicago.
“Non sono nessuno, solo il diavolo”
Le registrazioni a Chicago contano inizialmente su una lunga scena dove musica, teatro e cinema si fondono con dinamismo attraverso una parlata quasi cantata e l’istrionismo di quattro bravi attori; su tutti un Chadwick Boseman nuovamente in veste di one man show: cantante, ballerino, musicista. Colori caldi, afa, blues. La camera è sempre in movimento, segue tutto, i personaggi, i luoghi (la panoramica a trecentosessanta gradi sull’entrata della cantante ne è un esempio notevole), i dettagli degli strumenti di registrazione, il sudore di Ma; la camera scivola soavemente senza soluzione di continuità in questa calda giornata di Chicago dove il Blues racconta la storia della musica e degli afroamericani. I colori acidi e sbiaditi completano l’atmosfera retrò, puntellando la scena con qualche tinta più accesa che ruba la scena: il vestito di Ma, la custodia di un basso, la parete verde dello studio di registrazione, la tromba e i suoi riflessi.
L’occhio indagatore si concede poche pause dal suo incessante pedinamento, lo sguardo si discosta dai protagonisti solamente per innalzarsi sui volti della gente comune che puntellano la Storia. Canti che raccontano sofferenze (la canzone di Toledo); una foto d’archivio in movimento (durante l’excursus sulla migrazione verso nord); istantanee di uomini e donne appartenenti al mosaico della storia nera (fermatevi ad ammirare lo shot di una giovane donna incinta sul davanzale di una finestra leggermente illuminata da un caldo sole).
La regia è quindi completamente al servizio delle interpretazioni, si muove come un fantasma sulla scena, un fantasma avido di emozioni che viene premiato da due performance in odore di premi. Viola Davis in primis, nonostante canti una percentuale irrisoria delle canzoni — che invece beneficiano della voce di Maxayn Lewis — riesce a donare un’interpretazione intensa, passionale e carismatica. Luciferina nei momenti di ira e arroganza, commovente ed evocativa durante l’esposizione della filosofia del Blues e della musica in generale.
In contrapposizione troviamo il suo rivale, Levee Green, Chadwick Boseman, eccentrico e tormentato talento della tromba che conquista la camera grazie a un monologo fuori dal tempo, eternamente scolpito nella voce di un popolo. Credibile. Come tutta la performance di Boseman, nuovamente capace di coprire tutte le arti dello spettacolo. Canta, balla e suona la tromba, nessuna edulcorazione ma immedesimazione totale con il personaggio consacrata da una inquadratura dall’alto sul finale del film che ci dona una Pietà straziante che lascia impietriti dinanzi a una conclusione tanto inaspettata quanto vera, tangibile, inevitabile. La scalata verso una vita migliore è effimera speranza sia per l’affermata artista — usata dai magnati bianchi — sia per il giovane maledetto colmo di ambizioni e traumi. Il ritmo della musica scandisce una liberazione ancora lontana dal realizzarsi e che tutt’oggi trova ancora, incredibilmente, opposizioni capaci di vanificare decenni di lotte.
Guardando una desaturata, finta e tremolante Chicago; entrando nei suoi palazzi sporchi come un ring (volere del regista e del DOP) ci ritroviamo a constatare di essere dinanzi a molteplici avvenimenti: un grande film, una gigantesca interpretazione di una attrice eccezionale e l’addio di un grande uomo, che spesso si dilettava a recitare. Prossima fermata: notte degli Oscar.
Ma Rainey’s Black Bottom, Trama
Georgia, 1927. Ma Rainey è la Madre del Blues, vero e proprio idolo del popolo afroamericano e della musica statunitense. Durante la registrazione di un disco a Chicago intreccerà la propria esistenza con il giovane trombettista della sua band, ambizioso e ribelle. Lo scontro avrà ripercussioni impreviste traducendo la sessione in una giornata particolare. Sullo sfondo la storia afroamericana e la questione razziale…e tanta, tanta, musica.
Scheda Tecnica
Paese di produzione
Stati Uniti d’America
Anno
2020
Durata
93 min
Rapporto
2,00:1
Genere
biografico, drammatico, musicale
Regia
George C. Wolfe
Cast
Viola Davis: Ma Rainey
Chadwick Boseman: Levee
Glynn Turman: Toledo
Colman Domingo: Cutler
Michael Potts: Slow Drag
Trailer
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