In Plastic Hearts, il suo nuovo album, Miley Cyrus è la perfetta rockstar anni ’80
Ammettetelo: non ve lo aspettavate, non ci avreste scommesso davvero. E invece è successo: Miley Cyrusè una rockstar. Certo, una rockstar a modo suo, ma con tutti i crismi. Dal pop da classifica alle derive country e traditional, la cantante si ritrova con il suo nuovo disco improvvisamente negli anni ’80.
Non sono esattamente gli ’80 dei quali abbiamo appena vissuto un revival, terminato l’anno scorso. Qui abbiamo gli ’80 degli esordi, ancora tutti odoranti del punk della fine del decennio precedente e che vedono una generazione di nuovi cantanti con tutto da dimostrare prendere in mano le redini della scena.
Quella generazione qui c’è tutta: Debbie Harry, Stevie Nicks, Pat Benatar, Chrissie Hynde, Joan Jett. Siamo, diciamo, nel 1981 o ne 1982. L’album che ascoltiamo, Plastic Hearts, è del 2020, ma non suona come un lavoro del 2020. E ci sta anche se, ripetiamolo, il revival è finito e Miley è fuori tempo massimo.
Da popstar a rockstar
Molti penseranno: “Se Miley Cyrus è una rockstar, allora siamo alla frutta“. Ma che cos’è una rockstar? Una cantante trasgressiva e fuori dagli schemi, famosissima e che fa musica rock. Possiamo dire che lei non sia così? No. Chiaro, non stiamo parlando di Janis Joplin né di Patti Smith, ma il rock and roll promesso qui c’è tutto.
Miley non è mai stata estranea al genere. Tralasciando gli esordi nel segno del pop/rock dozzinale sotto il nome di Hannah Montana, diverse delle sue produzioni passate hanno tradito l’interesse per chitarre e compagnia. E anche altri suoi lavori, se pur non rock in senso stretto, contenevano dichiarazioni di originalità insospettate.
Il fatto è che se per voi Miley Cyrus è solo quella di Wrecking Ball, dovreste correre a recuperare tutta la sua discografia (almeno Miley Cyrus & Her Dead Petz, 2015) per capire quanto potenziale ha questa cantante. Che questo potenziale sia sempre stato filtrato dalle esigenze dell’industria, è poi un altro discorso.
Il disco
Plastic Hearts contiene dodici canzoni inedite, che vagano dal pop/rock da classifica a toni vagamente new wave (siamo sempre nel 1982) a ballad elettroacustiche di forte impatto. La sua voce è perfetta, gli arrangiamenti sono coinvolgenti e rispondono al miglior guilty pleasure per qualunque appassionato di rock “vintage”.
A confermarlo appaiono come ospiti alcuni dei nomi tutelari del rock nell’epoca in questione, superstar anni ’80 riesumate come ispirazioni ma anche come padrino e madrine di quest’operazione nostalgica. Parliamo di Billy Idol, Joan Jett e Stevie Nicks. Non si può non sentire, nella tracklist, l’influenza di tutti e tre.
Le canzoni migliori sono WTF Do I Know, Plastic Hearts, Prisoner e Midnight Sky (i singoli, in pratica). Menzione a parte merita Gimme What I Want, la migliore dell’album, una post-disco aggressiva e pompante che cattura subito. Notevole anche il mash-up con Stevie Nicks, tra Midnight Sky e la sua Edge of Seventeen.
Questo concetto viene ripetuto ormai come un mantra e da una parte viene smentito ma dall’altra confermato, di continuo. Sempre più cantanti pop, specie donne, stanno abbracciando sonorità rock o alternative in maniera sempre crescente nella loro musica. Per non parlare poi dei casi eclatanti come quello di Poppy.
Miley è solo l’ultima di una serie che comprende, quest’anno, Selena Gomez, Dua Lipa, Halsey e Rina Sawayama. Se non si parla di rock, si parla comunque di una forte tendenza verso il ritorno degli strumenti “organici”, in contrasto con le musiche elettro-synth che hanno dominato la seconda metà degli anni ’10.
La conclusione da trarre, che farà purtroppo storcere il naso a molti, è che al momento ci sono molte più idee nel pop che nel rock. Questo perché le popstar come Miley, sulla spinta dell’empowerment femminile di questi anni, sentono di avere molto da dimostrare e di potere finalmente dimostrarlo come si deve. E lo fanno, con successo.