La 38° edizione del Torino Film Festival è ormai cominciata e sta entrando nel vivo per quanto riguarda la sua sezione competitiva. La selezione, che ricordiamo includere esclusivamente opere prime e seconde, è il cuore pulsante della rassegna torinese. Film come sempre di ottimo livello da tutto il mondo competono per aggiudicarsi il nuovo trofeo del TFF ed i 18.000 euro in palio.
Al netto delle ovvie difficoltà causate da un’anno infausto, la sezione si presenta più interessante che mai, nonostante la mancanza di grandi nomi rispetto alle edizioni del passato. Un cambio forse anche di direzione che si sta dimostrando efficace data l’alta qualità finora raggiunta dai film che abbiamo visionato.
In questo articolo troverete un trafiletto dedicato ad ognuno dei film in concorso, con una breve analisi ed un altrettanto breve giudizio. Vi ricordiamo che è possibile seguire il festival sulla piattaforma Mymovies acquistando i biglietti singoli o l’abbonamento. Potete trovare tutte le informazioni ed il programma completo all’indirizzo ufficiale del Torino Film Festival.
Sin señas particulares, Fernanda Valadez
Dramma messicano che mette in scena la determinazione di una madre nel ritrovare suo figlio, misteriosamente scomparso nel tentativo di oltrepassare il confine con gli USA. La donna si imbarca in un vero e proprio viaggio della speranza per mettersi sulle tracce del figlio, andando a ripercorrere il cammino che migliaia di messicani intraprendono ogni giorno per cercare un futuro migliore. Un viaggio che si trasforma in incubo per molti di loro, così come lo sarà per il figlio di Magdalena, la protagonista del film.
Il film unisce il dolore provato da una madre alla disperata ricerca del figlio con quello su scala più grande di un’intera nazione. Quello dell’emigrazione è un tema centrale di quest’epoca storica, affrontato qui dalla Valdez fra il documentaristico e la storia privata, trovando un buon bilanciamento fra le due sfere. Un buon film che si dilunga forse troppo nella parte centrale, per poi esplodere sul finale con un colpo di scena di grande (forse troppo) effetto, in un crescendo di disperazione e violenza.
Film di formazione nella Spagna degli anni ’90, fra le suore della scuola che frequentano le ragazze e le scoperte dell’adolescenza sui loro corpi in mutamento. Celia, protagonista del film, comincia a rendersi conto della sua femminilità, mentre tenta di scoprire la verità sul padre mai conosciuto
Totalmente al femminile, l’opera prima di Palomero stupisce per la delicatezza e l’intimità con cui entriamo in contatto con le ragazze. Gli uomini sono quasi del tutto assenti, le donne emancipate o in cerca di emancipazione, a metà fra il mondo di oggi e la severità delle suore. La regista spagnola mette in scena un coming of age quasi esemplare, mentre la nostra “eroina” si scontra fra la morale cattolica e la realtà contemporanea (o meglio degli anni ’90, ma non poi così lontana da oggi).
Una cura anche estetica confezionano quello che è sicuramente uno dei film più interessante di questo Torino Film Festival, che naviga fra la ricerca di verità di Celia ed i cambiamenti del costume (anche sessuale) degli ultimi 30 anni.
The evening hour, Braden King
In un piccolo paese ai piedi dei monti Appalachi, Cole lavora come assistente sanitario a domicilio. Per arrotondare ed aiutare la sua famiglia vende illegalmente antidolorifici nella sua comunità, recuperandoli da anziani a cui non servono più. L’equilibrio però viene sconvolto dal ritorno di un suo vecchio amico in città, che tenterà di entrare nel giro dello spaccio finendo per pestare i piedi all’uomo sbagliato.
Ballata folk nella Rust Belt americana, in luoghi che attraversano ormai da tempo una crisi in primis economica, trasformata poi in crisi sociale. I personaggi che la compongono non hanno una prospettiva, un futuro in cui sperare, abbandonati a loro stessi dalle istituzioni e da quell’industria che aveva reso prosperi quegli stessi territori. Un film che testimonia l’America più profonda negli anni di Trump, un’America in un gorgo senza fondo e senza speranza.
Un buon film, che va ad inserirsi in un filone piuttosto florido negli ultimi anni che testimonia la vera e propria crisi sociale di molte zone degli Stati Uniti, ridotte all’ombra di loro stesse. Che fine abbia fatto, per questi personaggi, il famoso “sogno americano” è una domanda a cui nessuno è ancora riuscito a rispondere.
Wildfire, Cathy Brady
Irlanda del Nord. Kelly, dopo un anno passato in fuga da tutto e tutti, torna a casa dalla sorella Lauren. Il passato della loro madre, morta suicida in preda alla pazzia, torna a tormentare le loro vite, facendo scoprire alle due donne di essere molto più simili alla propria madre di quanto entrambe vogliano ammettere.
Wildfire mostra come le tensione fra gli irlandesi ed inglesi non sia mai stata superata e stia tornando alla ribalta dopo i fatti della Brexit. Un sentimento rimasto sopito e che oggi torna prepotentemente: il ritorno di Kelly può essere letto in questo senso come una metafora del riaffiorare di queste pulsioni mai risolte. Allo stesso modo le due sorelle, ricongiungendosi sempre di più da metà film in avanti, rispecchiano l’anima ordinata ed allo stesso tempo caotica dell’Irlanda in un periodo storico più che mai incerto.
Un film ben diretto, molto più politico di quanto non possa sembrare in superficie che si candida di diritto alla vittoria di questo Torino Film Festival grazie ad una sceneggiatura molto curata e pungente, fra il dramma familiare e quello politico, sempre presente sottotraccia.