His House, la Recensione dell’acclamato horror su Netflix
Raccontare un dramma, quello della migrazione forzata, attraverso l'horror folkloristico. Una scelta coraggiosa e che paga. Ecco la nostra recensione di His House.
Il dramma della fuga, l’orrore della perdita. Prodotto da BBC e distribuito in Italia da Netflix, His House racconta una storia che lascia il segno su molteplici fronti. Raccontare un dramma contemporaneo, come quello della migrazione forzata, attraverso un genere, l’horror, in varie sfumature.
Folklore, possessioni, fantasmi. E quel rimosso che ritorna, che non abbandona mai i due bravissimi protagonisti, abilmente diretti dall’esordiente Remi Weekes, in questo horror che merita ben più di un semplice plauso.
His House, la trama
Dopo essere fuggiti dal Sudan, in balia di guerre civili e persecuzioni, Rial e Bol ottengono finalmente il visto per rifugiati politici in Inghilterra. Per mantenerlo dovranno rispettare alcune regole basilari e tentare di integrarsi con la società inglese di Stoke-On-Trent. Poco importa se l’alloggio è un vero e proprio tugurio inserito in una periferia che somiglia al più classico dei ghetti inglesi.
Basta qualche ora dentro quella casa per capire che c’è qualcosa che non va. Una presenza, ad esser precisi, che tormenterà la povera coppia, trascinandoli in un doppio incubo che sembra non avere fine.
His House, la recensione
Acclamato, a ragione, in quel del Sundance, His House è una perla difficile da trovare al giorno d’oggi. Un film che mostra come il genere possa essere capace di raccontare un dramma senza scadere mai nella faciloneria dell’emozione forzata, quella strappata con la forza grazie ai più classici espedienti.
Viaggiando su due binari perfettamente in linea, His House ci porta ad osservare una realtà sì edulcorata dal fattore orrorifico ma al tempo stesso quanto mai veritiera. Due protagonisti, opposti in tutto per tutto. Uomo e donna, il primo, Bol, che fa il possibile per entrare nella comunità periferica di Stoke, cantando cori da stadio al pub per lo Stoke City e sposando le usanze occidentali. E poi c’è Rial che, a differenza del marito, non riesce a far finta di nulla.
Lei rimane ancorata alle sue tradizioni ma soprattutto si rassegna a quel dramma che si porta dietro insieme al marito, che invece tenta di combatterlo. Anche quando prende una forma precisa e oscura, quella di una strisciante presenza tra le intercapedini di quella casa a loro assegnata. E dalla quale non si può fuggire. Pena, il rimpatrio forzato, e quindi la morte certa.
L’allegoria scelta da Weekes per raccontare una storia drammatica funziona dall’inizio alla fine. Una leggenda folkloristica africana per riassumere il più usato (e abusato) concetto freudiano del trauma, del rimosso che ritorna. E che prende una forma per l’appunto folkloristica, legata ad una tradizione esotica ed esoterica. L’incubo entra nella realtà scenica senza soluzioni di continuità , in un’alternanza di luci e ombre dal fortissimo impatto visivo.
A riprova, l’ennesima, che alle volte il cinema di genere riesce a raccontare il vissuto e la realtà meglio di qualsiasi altra forma audiovisiva. Le strade tracciate da Weekes porteranno ad incontrarsi, chiudendo alla perfezione un cerchio iscritto in un quadrato horror di pregevole fattura. Un ottimo colpo messo a segno da Netflix.
Cast
Wunmi Musaku: Rial
Sope Dirisu: Bol
Matt Smith: Mark
Javier Botet: il demone
Trailer
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