Intervista a Hu, al secolo Federica Ferracuti: cantante, producer e polistrumentista italiana. A seguito di esperienze come turnista e diversi concerti in giro per l’italia, nel 2016 dà il via al suo progetto artistico HU. Nel 2018 viene selezionata tra i 10 finalisti dello JAGER MUSIC LAB che le permette di volare a Berlino vincendo due menzioni speciali. È tra i giovani che parteciperanno ad AmaSanremo, il programma condotto da Amadeus, dedicato alla selezione dei giovani nella categoria “Nuove Proposte” al prossimo Festival di Sanremo
Come ti sei approcciata alla musica? Come e quando hai capito che volevi che fare musica fosse la tua vita?
Mi sono approcciata alla musica quando avevo 11 anni più o meno. Ho iniziato a studiare chitarra jazz e piano piano mi sono avvicinata a basso, batteria, pianoforte; poi è arrivato presto l’amore per il lato di produzione e recording: avevo 15 anni. L’ho sempre saputo che avrei voluto fare questo nella mia vita, mi brucia dentro da quando ero piccola.
Quali sono gli influssi che si sono fusi nella tua musica? L’elettronica sembra essere una chiave di volta nel tuo repertorio.
Prima di definirmi musicista o artista, mi definisco come una grande appassionata di qualsiasi repertorio: il mio primo amore è stato il jazz, poi è arrivato il punk, la musica romantica, la neoclassica e l’elettronica, quasi in questo ordine. L’elettronica tuttavia ha le sue radici nella ricerca, nella tecnologia, nella matematica, nell’arte concettuale e nella sua potenza comunicativa. Vista in questa prospettiva, è una categoria sonora che lega tutto quanto ed è stata antecedente storicamente e artisticamente a tutte le contaminazioni e generi derivativi di tutto il 900 e di oggi, se ci pensiamo. E questa si, per me è stata una chiave di svolta mentale, quanto pratica sul mio approccio compositivo. A dilungarmi di più finirei per parlare di come l’origine di tutto questo sia legato alla nascita del telegrafo nel 1837.
Cosa vuol dire Hu?
Dietro Hu, c’è la passione per la cultura egizia: il giorno che ho scelto quel nome, stavo leggendo la storia di tutte le divinità dell’antico Egitto e ad un certo punto sbuca questo nome Hu e mi sono innamorata flash della sua storia.
So che oltre ad essere polistrumentista e producer sei anche una digital performer e sei appassionata di arte concettuale. Come si incastrano questi aspetti in te?
Questi due aspetti sono una chiave di lettura di quello che faccio. Sono profondamente innamorata della musica, quanto di ogni forma d’arte. L’arte concettuale, rappresenta la base di un pensiero estetico che ha rivoluzionato ogni atto creativo, dall’architettura, al design, alla moda, alla musica; è il pensiero creativo che si plasma in base allo scopo comunicativo di quello che si fa, ad essere vettore di un messaggio. Io non sono una virtuosa in nessuno strumento, non so fare niente davvero bene come vorrei, ma amo approcciarmi a strumenti, cose che non conosco per farle diventare un mezzo di espressione per qualcosa che alla base, so già di aver bisogno di comunicare.
Per riassumere: comunicare, è una necessità per me. Ecco perché c’è stato un periodo in cui mi sono avvicinata alle installazioni; su qualche telefono gira il video della mia tesi di laurea: ho fatto un’installazione in quadrifonia che si chiama Settentrione, basata sulla costellazione del Grande Carro e un sistema di 7 scale atonali, basate non su un sistema temperato ma su un rapporto tra frequenze calcolate in base alla distanza astronomica di ogni stella dalla Terra. Ogni punto dell’installazione, corrispondente alla posizione di una stella appartenente alla costellazione, aveva un Faro RGB che cambiava colore 7 volte, gli stessi colori del disco di Newton. Quando tutte le stelle (sotto forma di cubi), suonavano correttamente nello spazio quadrifonico e brillavano insieme, tutto lampeggiava di bianco e partiva un rumore bianco ritmico. Il tutto era per un scopo: doveva essere legato al concetto del bianco come forma di catarsi, bianco come somma dei 7 colori derivati del disco di Newton e bianco come il rumore bianco, somma di tutte le frequenze udbili, bianco come le white canvas di Rauschenberg. Potrei non finire più di parlarne!
Quanto c’è di te nel videoclip di Occhi di Niagara?
500%: ci sono i pezzi della mia personalità dettati da un mood estremo legato allo styliing e all’identità di colori. Poi però al di là del costume che fa il 50% del set, ci sono sempre io in prima linea, in un playback che non era un playback perché alla fine ho cantato davvero tutto il giorno e sempre trasparente: un po’ goffa, un po’ sorridente, un po’ con lo sguardo inquieto, un po’ control freak, un po’ libera.
Appena ho visto il video ho capito che sei marchigiana, che impatto ha avuto la scena di provincia sulla tua formazione?
Davvero importante. Sono molto legata alle Marche. Le mie origini, il mio amore per la natura, per le cose essenziali, quelle semplici, quelle vere, viene tutto da lì. Musicalmente parlando, ho avuto sempre un grande supporto da tutti i promoter locali: la mia gavetta regionale, l’ho fatta suonando in ogni posto per anni e tantissime cose per questo, le ho imparate piano piano, facendole. Mi ha data modo di mettermi alla prova e per questo, sarò eternamente riconoscente al posto da cui vengo.
Come sei passata dai club a AmaSanremo?
Esattamente nello stesso modo in cui passo dalla lavatrice al ferro da stiro! Sono due contesti diversi ma alla fine sempre di musica di parla. E a me piace mettermi alla prova. Entrambi contesti richiedono una preparazione artistica, mentale, fisica importante.
Come sei approdata in Warner invece? Com’è lavorare con una Major per una che cura ogni aspetto dei suoi progetti?
Due nomi: Kosmi Carlucci e Flavia Guarino, che sono anche i miei manager, le mie colonne portanti. Mesi di brainstorming, lavoro e riflessioni per capire cosa volessi e potessi esprimere, il dove e il come poterlo fare, i piccoli obiettivi razionali pur tenendo sempre i nostri animi di grandi sognatori e quando siamo riusciti a mettere fuoco la base di lavoro abbiamo ascoltato tutte le prosposte. Con tutto il team di Warner ci siamo trovati molto bene: hanno abbracciato in toto non solo me e il mio progetto, ma anche tutta la mia squadra creativa.
Cos’hai in serbo per il futuro e i tuoi fan?
Stavolta cerco di trattenermi e non spoilerare niente. Per ora posso solo sognare che la mia musica arrivi il più possibile al cuore di tutti e poi posso dirvi che abbiamo tantissime idee in cantiere ma tutte, un passo alla volta.