Thom Yorke dei Radiohead si aggiunge alle numerose voci critiche nei confronti di Donald Trump
In un clima elettorale già parecchio infuocato Thom Yorke, storico cantante, frontman e leader dei Radiohead, ha voluto dire la sua. Già in passato l’artista, estremamente rispettato nel suo ambiente, non si è esentato dal prendere posizioni politiche e dal condividere le sue visioni sulla società.
In un nuovo tweet fresco di oggi, 4 novembre, Yorke parla implicitamente (cioè, senza nominarlo) di Donald Trump. Lo fa con toni chiaramente poco lusinghieri e in questo si unisce a una lunga schiera di suoi colleghi artisti che, come lui, in questi mesi hanno mostrato ben poca simpatia al presidente uscente.
“Non voglio che i miei figli ereditino un mondo governato da dittatori di Facebook da due soldi che sventolano bandiere, completamente privi di autorità morale, mentre guardano venti a duecento all’ora soffiare via le loro vite come ne Il Mago di Oz, avendo interiorizzato questo senso di impotenza alimentato a forza. Tanto per dire”.
i don’t want my kids inheriting a world run by flag waving facebook tin pot dictators, utterly bereft of moral authority, while they watch 200 mile winds pick up and blow their lives away like the Wizard of Oz, having internalized this force fed sense of powerlessness. just sayin
Già lo scorso novembre Yorke aveva asserito che, secondo lui, Trump se ne sarebbe andato presto e sarebbe stato “storia”. “La vera domanda è: perché continuiamo a tirar fuori gente come Trump?” aveva detto il cantante nel 2019. Oggi rincara la dose, visto anche il risultato ancora incerto dell’attuale elezione.
I Radiohead avevano già affrontato compiutamente tematiche politiche dal sapore velatamente apocalittico in Hail to the Thief (2003), durante l’era Bush/Blair. In quanto rockstar e artista di primo piano, Yorke sa che la sua opinione conta oggi come allora. E non manca di esprimerla, con il sostegno dei fan.
Nel frattempo lo scontro tra Joe Biden e Donald Trump non si è ancora concluso e sembra anzi essersi assestato su di un impasse molto simile a quello (avvenuto però per cause diverse) di Bush/Gore 2000. Secondo molti ci potrebbero volere addirittura diversi giorni per conoscere il risultato finale.