Per un incatalogabile come Vicari, un rinomato maestro come Matteo Garrone si gode oggi i meritati frutti di una carriera ormai serenamente assestatasi sul cinema su commissione. Fa però bene ricordare ogni tanto come dietro al regista di educati progettoni pubblici come Pinocchio o Lo cunto de li cunti di Basile ci sia stato una volta l’autore di film come Primo Amore. Ancor più del più famoso L’Imbalsamatore o del recente Dogman, è forse il film del 2004 il capolavoro morboso del regista, qui al suo abisso più intossicante di ossessioni e torture mentali, inflitte a protagonisti la cui fragilità condanna alla macelleria dei sentimenti.
Un film crudele e raggelato come pochi, che fin dal titolo ironizza sarcastico sulle devastanti relazioni umane (oggi si direbbe “tossiche”) tra personaggi solitari e malati, e l’annichilimento metaforico e letterale cui portano.
L’Inganno – Sofia Coppola (2017)
Pochi autori contemporanei si rendono capaci di dividere come Sofia Coppola. Il che fa quasi strano, vista la relativa semplicità e bonarietà del suo cinema, non certo controverso o respingente. Il personaggio della figlia d’arte fa però fatica a conquistarsi un pubblico al di là di pochi affezionati, e nonostante una serie di film azzeccati il suo nome resta ancora collegato a lavori quantomeno discutibili come Maria Antonietta e Somewhere, che a fine anni 2000 ne spensero l’aria da next big thing.
In realtà , già in The Bling Ring Coppola aveva dimostrato una ritrovata capacità nello sventrare la psiche della gioventù femminile yankee più privilegiata (da sempre il suo grande tema). Il successivo The Beguiled del 2017 prosegue la fase di forma; è un po’ il suoParasite, nel senso di film più potenzialmente commerciale, addirittura divertente, al servizio di un intreccio studiato piuttosto che di sensazioni. Tra i suoi più accessibili, e buon compromesso per iniziare a riapprocciarsi all’autrice.
Elegante e notevole innesto nel recente filone a base di attoroni hollywoodiani di mezza età in cerca di seconda vita action. Meno pirotecnico di John Wick, meno scemo di un Taken, meno old school di The Equalizer, The Accountant è in realtà un lavoro di fino molto più interessante di quanto non appaia. Merito in primo luogo di un regista silenzioso e mai in fondo capito come Gavin O’Connor; autore di un piccolo classico come Warrior, rimasto bloccato su progetti su commissione nati morti (Janie’s Got a Gun), ha recentemente trovato nel faccione imbolsito e depresso del Ben Affleck recente l’attore ideale per le sue americana action sentimentali e irresistibili (sperando che l’ultimo Tornare a Vincere, bloccato dalla pandemia, riesca in un lontano futuro a vedere le sale).
Nel film del 2016 ci sono più arti marziali e corpo a corpo del solito, esistenzialismo col contagocce e persino un abbozzo di malattia mentale: sempre con lo stile impeccabile del professionista vero. Un colpo sicuro per i vecchi fan del genere, se ne esistono ancora.