John Frusciante sforna un disco elettronico dedicato alla sua gatta. Nel 2020. Ed è stupendo
Silenzioso e schivo, John Frusciante abbandona il suo strumento d’elezione, la chitarra, per regalarci uno dei migliori dischi elettronici da lui mai prodotti. Chi segue il due volte ex-chitarrista dei Red Hot Chili Peppers (e ora di nuovo nella band), sa infatti che il musicista non è per nulla alieno a tali sonorità .
Del resto John Frusciante è sempre stato un artista fortemente influenzato da qualunque tipo di musica. Non deve fuorviare il fatto che, nella sua attività con i Red Hot Chili Peppers, si sia sempre “fermato” a rock, funk e generi strettamente strumentali. Frusciante è ben più di questo.
Per accorgersene basta ascoltare la sua interessantissima discografia da solista. Con il side-project Ataxia e le sue collaborazioni con Josh Klinghoffer (a sua volta chitarrista dei RHCP durante gli anni ’10) ha detto tutto. Parliamo di un artista a tutto tondo che, seppur nato con il rock, non ha mai tra l’altro disdegnato i suoni elettronici.
L’EP qui sopra, Foregrow, pubblicato nel 2016, è un buon esempio. Ma non è l’unico. In differenti occasioni, in anni recenti soprattutto, il chitarrista ha deciso di abbandonare lo strumento con cui si è fatto conoscere. Le motivazioni dietro a queste scelte, non sempre comprese, sono varie e molteplici.
Nello specifico, l’esplorazione di suoni che lo potessero condurre al di là delle possibilità relativamente “limitate” della chitarra. Un tipo di esigenza provata anche da altri artisti contemporanei, come Alex Turner e Kevin Parker, che essendo cresciuti con le chitarre sono finiti poi con l’esplorare altri territori.
Maya, l’ultimissimo disco di Frusciante, è in questo senso lo specchio “sano” della sua passione segreta e nascosta (oggi non più di tanto) per l’elettronica. Passione del resto già ravvisabile ampiamente in diversi suoi progetti e nelle sue produzioni sotto lo pseudonimo di Trickfinger.
Pur suonando perfettamente moderno, l’album tradisce una serie di influenze derivate chiaramente da quello che per Frusciante era ancora un periodo di formazione, ossia la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni ’00. I loop e le drum machines riportano alle atmosfere dei Radiohead più sperimentali, per esempio.
Ma si sentono anche Four Tet, Squarepusher, forse qualcosa (alla lontana) degli Autechre più razionali, giungendo fino ai giorni nostri nei territori propri del maestro Nicolas Jaar. Non sembra in effetti neanche di ascoltare il vero Frusciante ed è questo, del resto, ciò che rende Maya un album così riuscito.
Per fortuna non siamo più nel 2005. Non è più tanto inconcepibile che un musicista noto per i suoi miracoli con la chitarra possa decidere di fare tutt’altro, “tradendo” la santità dei suoni organici e analogici delle sei corde. Anche nel caso di un artista come lui, sarebbe anzi quasi assurdo pensare il contrario, che sia cioè inconcepibile.
E la fortuna è che un disco come Maya può oggi essere goduto non solo dai fan della musica elettronica sperimentale, ma anche dagli stessi fan dei Red Hot Chili Peppers. Che pure, qui, si trovano di fronte un Frusciante ben diverso rispetto a quello storico e leggendario apprezzato in Blood Sugar Sex Magik (1991) e Californication (1999).
Posto quindi che Maya è un disco riuscitissimo, la domanda che ora tutti si pongono è: sentiremo qualcosa del genere anche nel prossimo disco, di nuovo con Frusciante, dei RHCP? O è deciso a tenere queste sue due vite “separate” fino all’ultimo? Sia come sia, abbiamo comunque un artista che dopo trent’anni ancora le azzecca tutte.