Myss Keta sul New York Times: “Italy’s Masked Rap Diva”

Myss Keta alla conquista dell'America

Myss Keta
Credits: Vanity Fair Italia / YouTube
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La nostra Myss Keta ha attirato l’attenzione del New York Times

In Italia ora sono tutti mascherati. E Myss Keta è la diva italiana “mascherata” per eccellenza. È stato questo, a quanto pare, ad attirare l’attenzione del New York Times, prestigiosa pubblicazione d’oltreoceano, sulla nostra “pazzeska” cantante. E le ha fatto guadagnare un articolo dedicato e un’intervista.

Nello spazio riservatole (potete leggere l’articolo originale qui) si riflette su come un tratto per lei precedentemente distintivo, la maschera, sia ora diventato comune, spogliandola dell’originalità attribuitale. “Ora tutti sembrano dei fan della Myss”, è lei stessa a dirlo.

Il New York Times attribuisce alla cantante una “autorità sulla vita dietro il velo chirurgico”, dato che l’artista fin dagli inizi si è sempre presentata con il volto coperto e occhiali per celare la sua vera identità. Cosa che, è inutile nasconderlo, è parte integrante del suo fascino e del suo successo.

Myss Keta – Giovanna Hardcore, 2020

Ma da noi, naturalmente, la maschera sul volto non è considerata l’unico carattere notevole della cantante. Già da anni, il suo apprezzato stile rap/elettronico ha fatto scuola, aprendo uno spazio artistico tutto nuovo, conquistando moltissimi ascoltatori e inventando una figura che è ormai diventata un simbolo di questi anni.

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Il New York Times la definisce: “Il sogno di John Waters di una star del rap italiano” e forse non ci va troppo lontano, ma per noi la Myss è di più. Un volto dapprima sconosciuto (letteralmente), alieno, imperscrutabile; oggi invece quasi una figura familiare, specie dopo la sua apparizione a Sanremo 2020.

“Sono sempre Myss Keta, lo sarò sempre, al 100%” assicura la cantante, di fronte ai dubbi del giornale americano su come la pandemia e le conseguenti misure potrebbero intaccare la sua immagine. “Myss Keta è la diva di porta Venezia. Lo dirò finché non inizieranno a chiamare dei parchi con il mio nome“.

Fonte: The New York Times

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