La nostra recensione del terzo atteso album dei Nothing But Thieves
Ci siamo: Moral Panic, il terzo disco degli inglesi Nothing But Thieves, è uscito. La band scrive un nuovo capitolo della sua storia in un’epoca nella quale il rock, soprattutto quello inglese, sembra ritrovare la sua strada con una nuova generazione. Dopo la parentesi “anni ’80”di qualche anno fa, le chitarre stanno prepotentemente ritornando.
E Moral Panic ne è una prova esaustiva, anche se c’è da dire che in cinque anni i Nothing But Thieves non vi hanno mai veramente rinunciato. Ma Moral Panic non è tutto qui: c’è molto, molto di più. Pur essendo stato realizzato evidentemente prima di quest’anno, come provano le sonorità, questo è un disco perfetto per il 2020.
In inglese il termine moral panic indica la paura, diffusa nella società, che un “male” di qualche tipo ne minacci il benessere. Si può parlare di complotti, si può parlare di terrorismo, si può parlare di paranoia. E si può parlare del virus. Sia stato pensato o meno, questo collegamento appare lampante.
I Nothing But Thieves non cantano direttamente della pandemia (anche perché diverse delle canzoni devono essere state scritte prima), ma delle diverse debolezze dell’essere umano che conducono a terrore, sfiducia, demotivazione, insicurezza e viltà. Molto di ciò di cui siamo stati testimoni in questi mesi.
Canzoni come Is Everybody Going Crazy? e Can You Afford to Be an Individual? parlano già da sole, in questo senso. C’è poi Phobia, la migliore dell’album, influenzata per metà dal popolare dark pop alla Billie Eilish e per metà dall’indie stoner dei Royal Blood, a mettere il cappello all’inclinazione paranoide del disco intero.
Non è tutto qui, beninteso. C’è spazio anche per diverse love songs, tra le quali la bellissima Impossible, che ha davvero i numeri per diventare un classico: ce la immaginiamo coverizzata, di qui a vent’anni, da una ipotetica versione futura di una Miley Cyrus 2040.
Per quanto riguarda la formula musicale dominante, la band prosegue il discorso del disco precedente, Broken Machine. Le influenze tratte da sonorità contemporanee (strascichi di revival anni ’80, piccoli tocchi di elettronica) sono sempre presenti, ma il rock and roll (indie) la fa sempre da padrone.
La band non si spinge quindi fino a snaturare il proprio suono, mantenendo l’impalcatura di chitarre e la voce di Conor Mason come elementi portanti dello stesso. Il che da un lato è rassicurante ma dall’altro sembra tagliare fuori la possibilità di evoluzioni più interessanti, verso territori più impervi.
In ogni caso, andiamo a colpo sicuro se diciamo che questo suona come l’album dei Nothing But Thieves più completo e interessante finora pubblicato. Forse non necessariamente il migliore, ma comunque la prova che non ci troviamo di fronte ad una band stanca e senza idee. Anzi.
Quanto i Nothing But Thieves comprendano del loro ruolo, praticamente in cima alla scena indie inglese, non è chiaro. Al disco, semmai, manca proprio quell’ambizione che da un grande lavoro musicale potrebbe portarlo ad essere un “capo-lavoro” della musica del 2020.
Ma la band non è interessata a questo. I cinque vogliono “solo” scrivere buone canzoni, anzi, ottime canzoni, senza una visione artistica a fungere da obiettivo finale. O meglio: non c’è un compromesso unitario, in questo album come nei precedenti, a riunire le canzoni in un insieme coerente. Moral Panic non è un concept album.
E forse va bene così, forse i Nothing But Thieves non sono fatti per questo. Ma rimane il fatto che Moral Panic, se pensato in funzione dell’importanza che i NBT, se volessero, potrebbero avere, sarebbe potuto essere quel magnum opus indie che manca al 2020. Sia quel che sia: ci rimangono comunque undici canzoni stupende.