Retrospettiva sull’unico vero trasformista italiano.
Mercoledì 30 settembre 2020 Renato Fiacchini ha compiuto settant’anni di età, e nella stessa giornata ha compiuto cinquantasei anni Renato Zero, l’essere che ha cambiato più costumi e fondotinta al mondo, nato dalla testa e dal cuore di Fiacchini: nascostosi e allo stesso tempo rivelatosi a tutti.
Uomo, donna, santo, frocio, fallito, idolo, icona, pagliaccio, semplicemente Zero, da quando a quattordici anni gli gridavano: “Sei uno zero!” per insultarlo, e lui si è scoperto bene in quella definizione così libera, senza aspettative né obblighi, mettendo le mani avanti con il pubblico. Dietro quello Zero luccicante di glitter che si lasciava mangiare dalla folla e si offriva al macello dei media, il vero Zero costruiva la sua musica con coerenza e la giusta dose di follia, surfando sulle onde che hanno scosso i cinquant’anni della sua carriera senza mai rimanere lo stesso: semplicemente rimanendo uno Zero.
Renato Fiacchini nasce il 30 settembre 1950 a Roma, e si appassiona sin da subito a tutte le forme di espressione artistica che gli permettono un contatto con il pubblico: musica, canto, danza e recitazione. La cultura beat trascina Fiacchini nel vortice del disimpegno politico e della leggerezza; la beat generation è la vera madre di Renato Zero, che nasce nel 1964 già con il vizio del travestimento. Ma dietro i costumi, Zero si ritaglia lo spazio artistico per crescere in autonomia. Si esibisce in musical, esibizioni di ballo, recita in pubblicità e film di Fellini, gira l’Italia insieme a Loredana Bertè e Mia Martini cercando qualcuno che gli scriva un brano.
L’evoluzione dei glitter e della libertà.
I primi anni di esibizioni di Zero hanno un forte carattere collettivo, con la presunzione dei ragazzini della cultura beat di sapere cosa si sta facendo: si sta andando contro le convenzioni, e Renato forse era già troppo “contro” per muoversi in gruppo.
Il passaggio dai Sessanta ai Settanta porta alla ribalta il glam rock, l’esaltazione dell’ego smisurato, e finalmente le molteplici forme di Zero possono esprimersi in un contesto adeguato, in cui le tutine attillate e le piume sono all’ordine del giorno. Nel 1973 esce il suo primo disco ufficiale, No! Mamma, no!, seguito nel 1974 da Invenzioni. Sono due lavori pop rock che però non si lasciano ascoltare così facilmente, soprattutto per le tematiche molto pesanti affrontate. Già in Sogni nel buio, dal primo album, emerge la posizione di Zero contro l’aborto; una delle sue tante posizioni “non allineate”. Che però non ha mai tentato di imporre a nessuno.
Quanto all’aborto, purché nella buona fede io sono sempre per il libero arbitrio […]
Io sarei in imbarazzo a giudicare una donna che interrompesse la gravidanza dopo uno stupro, ma ormai l’aborto è una regola di una semplicità così sfrontata che francamente dobbiamo interrogarci.
Renato Zero in un’intervista ad “Avvenire” (21 maggio 2017)
Nasce e rimane libero, quando negli anni Settanta i costumi che già indossava da cinque anni diventano una serie di passi verso la libertà individuale. Trapezio (1976), Zerofobia (1977), Zerolandia (1978), EroZero (1979) e il film Ciao nì! , che già dalle copertine e dai fotogrammi brillano di trucco e glitter, in nome della totale libertà.
Attraverso Tragico Samba, contenuto in Zerofobia, ironizza amaro sullo slutshaming, ossia l’assurda pratica di colpevolizzazione sistematica delle donne vittime di stupro, che spesso sfocia nella giustificazione dello stupro stesso, prendendolo in giro e condannandolo. Ma con la leggendaria performance in tuta verde e gialla di Triangolo, l’Italia si accorge di come Renato Zero e le realtà glam delle quali era diventato un simbolo parlassero di quello che tutti pensavano, in fondo, ma pochi avevano il coraggio di dire: e infatti Triangolo piace a tutti. Sarà per quel travestimento alla David Bowie?
L’accostamento a Ziggy Stardust viene naturale, sia sul piano stilistico che su quello musicale. Come l’allucinato uomo venuto da chissà dove interpretato da Bowie, Zero sa benissimo come si muove la musica attorno a lui. Appena scoppia il glam rock, gli album del “cantattore” esplodono di chitarre elettriche mescolate alla solennità della sezione d’archi, e i suoi testi sono ancora più sfacciati e allusivi. Quasi nello stesso periodo, David Bowie macina dischi su dischi in cui i generi musicali vengono rivisti in maniera provocatoria, probabilmente senza la consapevolezza della rivoluzione che si sta portando appresso. I figli miracolati di due culture diverse: Renato Zero e David Bowie sono due fratelli nati in due momenti e in due Paesi diversi. (Lo dicono anche i Low, più o meno).
La crisi e il dilemma della normalità.
Nel 1979 Zero affitta un tendone dai circensi Togni, che chiama Zerolandia. Rimasto in piedi fino al 1984, è il coronamento dell’esperienza artistica di Renato, e coincide con tre anni e tre dischi fortunati: Tregua (1980), Artide Antartide (1981) e Via Tagliamento 1965/1970 (1982).
Il circo è il luogo in cui tutto quanto è strano per necessità e non per vezzo. Zero è sempre stato un circense, e in un tendone da circo il suo lavoro assume i caratteri giusti per essere compreso. Come il glam e la rivoluzione sessuale avevano dato un senso, agli occhi del pubblico (e poi della critica) ai suoi costumi, il circo ha dato un senso all’istrioneria totale di Zero. Dopo il 1984, forse non per caso, la carriera di Renato subisce un duro colpo, e inizia un periodo di buio, per le classifiche e per il guardaroba. Il cantattore diventa cantautore e si presenta in maniera diversa: più sobrio, o con un’eccentricità meno convinta di prima. Si lascia andare alla disco degli anni Ottanta, con dischi ricchi di sfumature come Voyeur (1989), ma il circo ormai è chiuso.
Tornerà al successo negli anni Novanta e la sua seconda fase circense vedrà due magnifiche espressioni nei tour di Cattura (album del 2003) e di Zero il folle (2019-2020) , continuando ad alternarsi alla sobrietà matura degli ultimi anni. Il 30 settembre, il 30 ottobre e il 30 novembre 2020 usciranno tre diversi dischi di Renato Fiacchini/Zero per festeggiare in tre atti il suo compleanno. Da quando il trasformismo ha smesso di essere un’esigenza, la parte esteriore di Renato si è sentita nuda. Spogliata del suo Zero, di cui continuava a comparire il nome solo sulle copertine dei dischi.
Zero, infinito e infine Renato.
Lo Zero dal 1964 rappresentava la vera libertà di Fiacchini e la libertà di tutti. Nel recente attacco ad Achille Lauro, spesso considerato l’erede dell’immagine di Zero, il riscopertosi cantattore ha rivendicato l’impegno sociale che accompagnava sempre i suoi travestimenti. “Io cantavo le problematiche delle periferie, della gente emarginata”, come in L’altra sponda, dall’album Cattura. Achille Lauro può cantare vestito come vuole e Renato Zero può pensarla come vuole, ma la dichiarazione di Zero, alla luce dei suoi trenta album in studio e otto live, è un dietro le quinte nel tendone di Zerolandia.
Zero si passa l’ultimo strato di cipria, aggiusta le ciglia finte e controlla che il rossetto glitter non se ne sia venuto. Allaccia gli stivali alti fino al ginocchio, infila i guanti in latex e prende in mano il triangolo verde che lo ha reso famoso e degno di essere ascoltato. Arriva sul palco ed è finalmente libero. Inizia a cantare e tutti si muovono insieme a lui verso la libertà, non importa quale essa sia. “L’altra sponda, non passarci mai”: e proprio per questo Zero ci è passato e ci passa.
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