Mario(Bob Hoskins) e Luigi (John Leguizamo) sono due idraulici qualunque, vivono a Brooklyn e cercano a fatica di mandare avanti la loro ditta con piccole riparazioni a domicilio, resistendo alla spietata concorrenza della potente azienda del rivale senza scrupoli Scapelli.
In un giorno qualunque incontrano Daisy (Samantha Mathis), della quale si scopre presto che non solo possiede il frammento di meteorite cercato da Koopa, ma è anche l’ultima discendente della legittima dinastia regnante nel mondo dei dinosauri. Dinastia spodestata da Koopa con un bel coup d’état vecchio stile.
Luigi (e non Mario) si innamora di Daisy, ma lei viene rapita dai nipoti di Koopa, fumettisticamente imbranati, Iggy (Fisher Stevens) e Spike (Richard Edson). Mario e Luigi li seguono nell’altra dimensione e da lì sarà un trionfo di avventure e disavventure improbabili tra commedia, avventura, grottesco e fantascienza.
Il finale è annunciato: Mario e Luigi sconfiggono Koopa, liberano il mondo dei dinosauri dalla sua perfidia e rimettono Daisy sul trono che le spetta. Naturalmente, come c’è da aspettarsi, le vicende dei due fratelli finiscono con l’ispirare l’omonimo videogioco, in modo da chiudere un improbabile cerchio narrativo.
Un magnifico pasticcio
Che cosa non va nel film, da un punto di vista qualitativo? Praticamente tutto. I dialoghi scontati, la morale retorica, le penose catchphrase (“Mario, ho un presentimento!”), la dabbenaggine da cartone animato di Iggy e Spike, la trama traballante in più punti.
E poi tanto, troppo trash per essere perdonato in un’epoca nella quale il trash non è ancora genere di culto. Dalla scena della “seduzione” in discoteca alla pizza “Koopa Special” fatta di “code di ragno, tarantole, qualche geco, lombrichi”: come se Brad Pitt, in Intervista col Vampiro, ordinasse una bistecca “molto al sangue”.
Un altro elemento molto a sfavore della possibilità del film di venir preso sul serio sono le evidenti forzature volte a creare dei collegamenti con il videogame. Vediamo così comparire “Yoshi”, che non ha nessun motivo logico di essere nel film. E poi frasi come “affidati al fungo” parlano da sé, se si pensa appunto giochi della serie.
Sul finale il film diventa un mix di azione completamente caotico: Mario fa fuggire una pletora di “principesse” a bordo di un materasso, scivolando giù per una tubatura congelata, con i Goomba alle calcagna (sopra un altro materasso) e la canzone Speed of Light di Joe Satriani in sottofondo. E non è nemmeno la scena più assurda.
Perché rivedere questo film oggi?
Super Mario Bros. è un film senza dubbio sgangherato, confuso, incoerente, scontato, superficiale e poco originale. Vero. Ma è anche inventivo, assurdo (in senso buono), coinvolgente. E soprattutto, cosa che si può dire davvero di pochi film del genere: è estremamente divertente.
Se ci si scorda per un attimo che si tratta di una pura operazione pubblicitaria e si smette di cercare una qualunque coerenza relativa alla serie dei videogiochi, Super Mario Bros. diventa improvvisamente, immensamente godibile. Infinite idee, tra battute, personaggi e situazioni, che non smettono mai di coinvolgere.
Pensiamo alla scena dell’ascensore, quando Mario e Luigi fanno ballare i Goomba con in sottofondo, senza alcuna ragione plausibile, la colonna sonora de Il Dottor Živago (1965). O a quando il “cattivone” Scapelli si becca quello che si merita, venendo de-evoluto in una scimmia. Ci sarebbero decine di altri esempi: ed è questo il punto.
Super Mario Bros. è una perfetta opera pop memorabile non per i risultati raggiunti ma proprio per tutti gli errori, un po’ come The Room di Tommy Wiseau (2003). Qualcosa di veramente unico, se si pensa alla realtà produttiva dell’epoca (e attuale). Non bisogna essere fan di Super Mario per godersi un film come questo.