Sto pensando di finirla qui, Recensione del film Netflix di Charlie Kaufman
Dal 4 Settembre su Netflix arriva il nuovo, perturbante dramma esistenziale di Charlie Kaufman: Sto pensando di finirla qui (I'm thinking of ending things), adattamento del romanzo omonimo di Ian Reid. Ecco la nostra recensione.
La novità da non perdere questa settimana su Netflix è Sto pensando di finirla qui (I’m thinking of ending things), il nuovo film di Charlie Kaufman, visionario sceneggiatore di Essere John Malkovich e Se mi lasci ti cancello (Eternal Sunshine of The Spotless Mind).
Acclamato dalla critica americana tra i migliori film del 2020, il caso (o uno strano scherzo del destino) vuole che il nuovo film di Charlie Kaufman abbia diversi punti in comune con il titolo del momento: Tenet di Christopher Nolan (qui la spiegazione).
Entrambe le opere, evidentemente, sono incentrate sul Tempo. Ma soprattutto, presentano un intreccio stratificato e complesso, dove ogni sequenza sembra programmata sistematicamente per destabilizzare lo spettatore.
Eppure, nonostante analogie, affinità e divergenze, senso di confusione a parte, i due film rappresentano due esempi di Cinema praticamente agli antipodi.
Dove Tenet cerca un debordante spettacolo visivo, Sto pensando di finirla qui trova invece una sofferta riflessione sul senso stesso della vita, la morte e le relazioni con gli altri. E il risultato è un autentico dramma esistenziale, che sembra negarsi a qualunque definizione di genere.
Sto pensando di finirla qui: la trama
La sinossi del nuovo film di Charlie Kaufman, Sto pensando di finirla qui, è di per sé estremamente scarna. Al centro della storia vediamo una coppia di giovani fidanzati: Lucy (Jessie Buckley) e Jake (Jesse Plemons).
Un lungo viaggio in macchina li porterà alla fattoria dove Jake è cresciuto, dove Lucy incontrerà per la prima volta i suoi genitori (interpretati da Toni Colette e David Thewlis). In realtà lo spettatore conosce già i pensieri di Lucy, sa dal primo istante che la ragazza ha intenzione di interrompere la relazione.
Quella storia d’amore è iniziata da sole 6 o 7 settimane, eppure sembra avere qualcosa di inspiegabilmente sbagliato. Nel frattempo, vediamo anche un anziano inserviente (Guy Boyd) impegnato a pulire i corridoi di un Liceo, la tipica High School di provincia, uno spazio che appare quasi sterminato.
Da questo assetto, perfettamente lineare, il film scivola in modo lento e inesorabile verso una dimensione altra, mentre la realtà cede il passo alle atmosfere, e il linguaggio del Teatro dell’Assurdo.
Recensione del film Sto pensando di finirla qui (I’m thinking of ending things)
Per molte ragioni, nel cinema contemporaneo qualunque film di assetto surreale e anti-narrativo viene immediatamente associato all’opera di David Lynch. Lo stesso vale per Sto pensando di finirla qui, film complesso e sfuggente, che rimanda alla gloriosa tradizione dello “stream of consciousness“.
In realtà il paragone con Lynch resta abbastanza improprio, già che il nuovo film di Charlie Kaufman non cerca l’Assurdo attraverso l’immagine né il linguaggio audiovisivo, ma è fondato piuttosto sull’esercizio della parola.
Parola che diserta il cinema di David Lynch, se non in forma di allusione, allegoria e metafora; senza ambire mai minimamente alla razionalità e il senso. Il dialogo invece, nel nuovo film di Kaufman invade letteralmente ogni spazio, e trova il suo cuore pulsante negli infiniti dialoghi di Lucy e Jake.
Entrambi i registi trovano forse lo stesso “punto di fuga”. Eppure, la rispettiva costruzione della prospettiva resta differente, irriducibile e individuale.
Il Teatro dell’Assurdo di Samuel Beckett e Eugéne Ionesco, da Aspettando Godot a Finale di partita, passando attraverso Il Re muore, sembrano i veri riferimenti di Charlie Kaufman, che dopo Synedoche, New York e Anomalisa torna alla forma del “film parlato”.
Uno sceneggiato che diventa progressivamente sempre più inquietante, proprio perché quel dialogo non spiega, non unisce, anzi sembra allontanare sempre di più i protagonisti, mentre un senso incombente di tristezza e di morte sembra alludere costantemente a una fine ineluttabile.
Un perturbante dramma dell’assurdo
Sto pensando di finirla qui è film in grado di ricombinare gli elementi cinematografici più disparati: Romantic Comedy, Dramma, Musical, Thriller, mentre il dramma esistenziale si trasforma in un autentico Film dell’Orrore.
Orrore inteso naturalmente in senso esistenziale, di quel “perturbante” descritto da Sigmund Freud come un volto familiare che si ripresenta in forma mostruosa. Così Charlie Kaufman mina progressivamente le nostre certezze. La protagonista cambia continuamente nome, come cambiano il suo corso di studi, le sue passioni.
Ad ogni inquadratura si mostra leggermente diversa. Sono magari dettagli marginali, come il vestito, il cappotto o i capelli. Eppure, viviamo un devastante senso di straniamento. A differenza del suo fidanzato Jake, conosciamo il suono dei suoi pensieri. Eppure, la sua verità resta lo stesso un mistero.
Degli oltre 150 minuti di Sto pensando di finirla qui, la stragrande maggioranza si svolge in un’auto, nel corso di un viaggio di andata e ritorno. L’abitacolo diventa il palcoscenico. Il rumore dei tergicristalli scandisce inesorabile il tempo, come un metronomo, mentre le dissertazioni di Lucy e Jake girano ormai a vuoto.
La vita è solo “una veloce corsa verso l’inferno“, come afferma la madre di Jake, interpretata dalla solita straordinaria Toni Colette? La domanda sul senso stesso di quel “viaggio” tornerà insistentemente nel corso del film. Ma come suggerisce il titolo, non ci saranno risposte facili né finali consolatori.
Sto pensando di finirla qui è un film disseminato di citazioni e rimandi filosofici: da William Wordsworth a Guy Debord, passando attraverso il cinema di John Cassavetes. Ma non vogliamo rivelarvi di più, già che il film si fonda sul piacere e lo stordimento del “detour”: la digressione.
Possiamo comunque dirvi che il finale, se pure fornisce una serie di risposte, rovescia la prospettiva dell’intera vicenda, lasciando lo spettatore ancor più solo e smarrito. O meglio, lasciandoci in compagnia di quei dialoghi, che continueranno a lavorare nelle nostre teste.
Difficilmente nel panorama della cinematografia contemporanea troveremo un film altrettanto radicale, capace di evocare agli interrogativi più dolorosi della condizione umana. Come sia possibile conoscere davvero qualcuno. Quale sia il senso di vivere, se significa andare inesorabilmente incontro alla vecchiaia, la malattia, il decadimento fisico e la morte.
Altrettanto difficile è trovare un’opera tanto centrata sul piano formale. Un film che, se pure somiglia in tutto ad un collage dadaista, sembra racchiudere almeno una citazione, un’allusione a tutti i classici “generi cinematografici”, eppure non appartiene a nessuno.
Sto pensando di finirla qui resta allora un’esperienza destabilizzante, perché non somiglia a nessun altra. Neanche i precedenti che rintracciamo nella stessa filmografia di Charlie Kaufman, in particolare Eternal Sunshine of the Spotless Mind (Se mi lasci ti cancello).
Un’immagine ricorrente del film mostrava Jim Carrey e Kate Winslet sdraiati nella neve. Ora la stessa inquadratura dall’alto mostra un’automobile nella bufera, ferma nel parcheggio di un Liceo, nel mezzo del nulla, della notte e di un viaggio che ha perso il suo senso (o forse non l’ha mai avuto).
Se non dovessimo avervi già convinto, potreste perdervi in questo viaggio semplicemente per l’ensemble, il cast artistico, già che tutti gli interpretati selezionati per questo dramma dell’assurdo sono semplicemente, banalmente straordinari.
Da Jesse Plemons (che dopo Tod di Breaking Badregala un nuovo personaggio ambivalente, sempre pronto a esplodere, come nascondesse un magma di rabbia inespressa) fino a Toni Colette, sempre più stralunata e inquietante (per una performance all’altezza di Hereditary).
Buona visione.
Il Cast
Jesse Plemons: Jake Jessie Buckley: Lucy/Louisa/Yvonne/Amy Toni Collette: Suzie (madre di Jake) David Thewlis: Dean (padre di Jake)
Il Trailer
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