La sala dei giochi nostalgica del nuovo pop cattivo.
Belli gli anni Ottanta, belli gli scaldamuscoli fluo, belli gli anni Novanta e l’eurodance ma diciamo tranquillamente che può bastare così. Possiamo riascoltarci i dischi dell’epoca, piuttosto che riprodurre su Spotify un disco del 2020 aspettando il momento del synth straight-outta-1983, che arriva quasi sempre; sfidarsi a riconoscere i riferimenti ai decenni precedenti negli album usciti quest’anno potrebbe essere un’ottima idea per svoltare le serate che si prospettano noiose. Menzione d’onore per il buon Achille Lauro, che l’aveva detto sin dall’inizio: con il suo primo nuovo album ci saremmo divertiti, con il secondo lui avrebbe cambiato la musica italiana. Inattaccabile. Da ascoltare senza aspettative, affidandoci alla principessa della musica italiana, al servizio della Regina.
1990 è uscito il 24 luglio 2020 per Elektra Records, la label statunitense sotto l’ala Warner Music della quale Lauro è diventato Chief Creative Director. Mamma Elektra vuole davvero bene ad Achille e gli concede anche venticinque minuti di divertimento extralusso, lasciandolo giocare con le hit dai ruggenti Ottanta e Novanta. Come perfette architetture di Geomag che Lauro ha smontato e rimesso insieme un po’ come gli andava, sicuro del fatto che tutta Italia avrebbe atteso una nuova apparizione della “Reginetta del Punk, Re del Rock, Stella del Pop”. Aveva ragione.
Lasciatelo giocare!
L’universo di Achille Lauro, la sua “lore”, è un sogno costruito sui pilastri del cult; nel suo 1969 si era dipinto come viveur hollywoodiano e in fondo come molto altro, mentre in 1990 è la star dance di fine millennio. Cambiare forma per Achille significa solo cambiare vestito: tutte le sue possibili combinazioni estetiche e stilistiche hanno lo stesso scopo, che è fare musica. Discutere di qualità della musica di Achille Lauro sulla base dei testi è come discutere dell’icona Johnny Depp sulla base dei suoi discorsi. Un’icona pop molto spesso diventa icona non per ciò che dice, ma per come lo dice; non per quello che indossa, ma per come lo indossa. E dà al pubblico pop quello di cui ha bisogno: un intrattenimento infinito. Il solo esistere di questa icona è garanzia di intrattenimento.
Achille Lauro ha inserito nella programmazione del suo continuo show anche gli anni Novanta con questo disco. Le hit mondiali che Lauro stravolge parlano come hanno sempre parlato al cuore spensierato dei giovani nati dal 1985 in poi, che le hanno sentite in discoteca con la testa altrove. Per quante volte abbiamo potuto ascoltarle, probabilmente non le abbiamo mai capite; ma Achille non vuole farci lo spiegone interpretativo. Non ci serve nient’altro che la sensazione giusta, quando sentiamo risuonare Summer’s Imagine o Sweet Dreams. Nella versione deluxe del disco ci sono brevi intermezzi recitati, che ricordano il vangelo immaginario di Achille Idol immortale (disco di lauro del 2014) e donano ad ogni pezzo la solennità del cult.
Vediamo come andrà a finire.
1990 non è un album fondamentale, ma è utile per capire il lavoro sulla propria icona che sta portando avanti Achille Lauro. Uno sforzo bidirezionale: questo disco serve sia per fornire la prova del suo status, sia per rafforzarlo e farlo salire di livello. Pesantemente rivisitati, i sette pezzi trasmettono le vibes dance che ci aspettavamo. Alcune volte sono molto diversi dagli originali (Scat Men insieme a Ghali e Gemitaiz) ma fanno ballare lo stesso, con gli occhi chiusi e la sigaretta tra le labbra, un bicchiere di Martini in mano e la camicia aperta cercando l’amore di una sera e una fine da re. Come solo Achille Lauro può permettersi di ballare, amare e morire e come noi possiamo permetterci di sognare continuando a muovere la testa al ritmo di sette icone al quadrato: hit stratosferiche rifatte da un artista ormai cult.
Proprio quello che ci aspettavamo: l’icona che parla. Non fa niente di nuovo, ma ripete quello che già esisteva in un modo che nessun altro avrebbe immaginato, come rallentare Blue degli Eiffel 65 rendendola la storia di una malinconia di lusso, o far entrare Massimo Pericolo in Summer’s Imagine. Ma la musica italiana non la cambi con il divertimento e le hit da dancefloor, quantomeno non nel 2020. Hype alle stelle per il prossimo disco, quello vero; forse non costruito sul cult, ma destinato a diventarlo.