Le 10 migliori interpretazioni di Kevin Spacey: il podio+ una menzione d’onore
3. Seven, David Fincher (1995)
Quello che si può considerare l’esordio autoriale di David Fincherè il cult di una generazione di cinefili folgorati dallo stupore. L’opera vede Brad Pitt e Morgan Freeman alle prese con un assassino singolare: il killer sembra recitare, attraverso le sue vittime, un ampio sermone sui sette peccati capitali. Un progetto criminale ambizioso, che arriverà a coinvolgere i nostri protagonisti e lo stesso efferato antagonista in un turbinoso finale. Un noir con tinte horror ben definite, capace di amplificare l’aura psicotica del serial killer con un’invenzione narrativa sui generis: è lui stesso a consegnarsi ai detective, per gestire le fila del suo piano perverso.
Così la surreale entrata in scena di Kevin Spacey è uno dei più memorabili twist di sempre. La presenza dell’attore non viene preannunciata nei titoli di testa, il che lascia lo spettatore ignaro fino al colpo di sipario. Si potrebbe dire che Seven ha rappresentato per Kevin Spacey ciò che Il silenzio degli innocenti ha rappresentato per Anthony Hopkins. Entrambi sono stati capaci di condensare in un ruolo secondario un antagonista mefistofelico, polarizzando totalmente la scena con pochi minuti di recitazione.
L’Hannibal Lecter di Hopkins è un personaggio a tutto tondo, con una caratterizzazione complessa resa da un lavoro maniacale dell’attore sul personaggio. Il serial killer di Kevin Spacey non è meno poliedrico, ma di certo è reso con un’economia di mezzi attoriali incredibili rispetto al risultato. La mimica del volto di Spacey è gelida ma magnetica, le sue pochissime battute vengono pronunciate come delle macabre sentenze: la sua performance non sarà stata meritevole dell’Oscar, ma è senza dubbio indimenticabile.
È lui Keyser Söze de I soliti sospetti! Uno spoiler dietro l’altro, ma probabilmente questo è il peggiore: svelare l’enigma perfetto è un gesto imperdonabile. Questo deus ex machina muove come fossero marionette i cinque protagonisti, affidando loro una missione suicida che svelerà l’identità di questo misterioso criminale. Keyser Söze orchestra dietro le quinte tutta l’operazione; sulla scena rimane un Kevin Spacey che mette in scena un personaggio piuttosto sopra le righe. La sua recitazione è verbosa, concitata, per giustificare il soprannome affibbiato al suo alter-ego, Roger “Verbal” Kint.
Attraverso l’interrogatorio serrato a cui è posto viene ricostruito, sequenza per sequenza, il capolavoro del diavolo: aver convinto tutti che non esiste. L’identità di questa figura nell’ombra e la sua stessa esistenza hanno i connotati di uno spirito maligno, e sarà per questo che Kevin Spacey ha meritato l’oscar per questa performance. Un sottile doppio ruolo, che porta sullo schermo uno strambo criminale e il suo malefico doppelgänger, che si svela solo nella conclusione.
1. American Beauty, Sam Mendes (1999)
Il ruolo che ha consacrato Kevin Spacey al gotha del cinema americano degli ultimi trent’anni, l’inevitabile primo posto di questa classifica. American Beautyin fondo non è che il denso e ardente melologo di Lester Burnham. Una regressione quasi al fanciullesco è la crociata personale del protagonista, che si svincola da tutte le catene dei valori borghesi per vivere in purezza i suoi impulsi. Kevin Spacey si fa interprete totale di un nichilismo attivo squisitamente nietzschiano, distruggendo i falsi idoli di cui è prigioniero per costruire una più autentica esistenza basata sulla propria volontà.
Esistenza votata all’idea assoluta di bellezza, sublimata nella giovanissima Angela: il primo, folgorante, incontro con la ragazza segnerà un punto di non ritorno nella vita di Lester. Un unico ampio climax che da quel momento fatale conduce allo struggente canto del cigno del protagonista. Un dramma strutturato in maniera corale che permette a Kevin Spacey di emergere con la statura di un eroe post-moderno, una pagina di grande Cinema che porta la firma di un interprete straordinario.
Menzione d’onore: House of Cards (2013-2018)
Una parentesi assolutamente dovuta, prima del podio forse scontato, ma certamente indiscutibile. In questa classifica si è tenuto conto solo delle interpretazioni cinematografiche di Kevin Spacey, in cui l’attore ha espresso, spesso in ruoli da non protagonista o in fulminee comparse, l’essenza della sua arte recitativa. La carriera da rapsode di Kevin Spacey non ha escluso i tempi decisamente più lunghi e complessi di una produzione seriale: al contrario, gli ha permesso di cimentarsi con il ruolo che forse più di tutti rappresenta la sua bravura e la sua triste sorte.
Il suo Frank Underwood in House of Cards è un politico spregiudicato, un personaggio con una progressione scritta in maniera praticamente perfetta, e recitata con altrettanta esemplarità. Lo scandalo che ha sotterrato la storia artistica di Kevin Spacey ha interrotto bruscamente una delle serie più seguite del decennio, e ha segnato la fine prematura di un personaggio che merita sicuramente di essere nominato insieme a queste prime tre, memorabili, interpretazioni.
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