Emile Hirsch | Recensione del disco Mnemonic

Emile Hirsch
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Emile Hirsch, un uomo dalle mille risorse

Attore sin dalla giovanissima età, consacrato dal suo ruolo di definizione con Into the Wild e ancora apprezzatissimo nel recente capolavoro tarantiniano. E come se non bastasse, Emile Hirsch è anche un talentuoso musicista, come ha dimostrato a più riprese durante la sua carriera filmica, e dandone conferma con il suo disco di esordio. Lavoro passato sicuramente in sordina, ma che merita certamente di essere scoperto ed ascoltato, Mnemonic è l’album con cui l’attore ha debuttato nella discografia con il nome d’arte molto minimal Hirsch.

Mentre in questi mesi ha continuato a sperimentare, pubblicando singoli molto interessanti come Casual Animal, Plugged In e Favors, ascoltare Mnemonic ci spiega il senso estetico alla base del suo modo di fare musica. Da quest’album infatti, e quindi attraverso le sue pubblicazioni più recenti, Emile Hirsch ha dichiarato a più riprese il suo amore smodato per un mondo sonoro che appartiene agli anni ’80, dove synth e glam rock fanno da padroni.

Mnemonic: la macchina del tempo di Emile Hirsch

Il gioco è lo stesso di Johnny Mnemonic: il disco rappresenta per Hirsch una sorta di bolla di memorie. Una rievocazione di un sound che appartiene ai suoi ricordi, quasi una capsula temporale che contiene suggestioni e ispirazioni. Non bisogna quindi giudicare un possibile manierismo che emerge all’ascolto, perché è praticamente dichiarato. Mnemonic è il tentativo di rievocare la stessa magia che folgorò Hirsch all’ascolto di album e singoli leggendari, attraverso omaggi espliciti ed evocazioni più sottointese.

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In fondo la musica è tra tutte le arti quella capace di evocare il passato con più immediatezza. Così mentre Hirsch ha versato in Mnemonic la fascinazione per le atmosfere sci-fi di David Bowie e per tutta quella new wave tedesca che fa capo ai Kraftwerk, l’ascoltatore potrà, a sua volta, trovarvi le più disparate corrispondenze con i propri ricordi musicali. Mnemonic è, a tutti gli effetti, una macchina del tempo tanto per il suo autore, quanto per il suo pubblico.

Nonostante l’album evochi quindi, complessivamente, un’atmosfera, un ascolto particolareggiato rivela invece una grande varietà di idee musicali. Dalle tastiere che dominano quasi tutte le sezioni del disco, passiamo ai campionamenti di Nervous Wreck, fino alle chitarre più aggressive di We Can Get Rock, in uno spettro di generi che dall’ambient arriva a sfiorare l’hip-hop.

Emile Hirsch e la promessa di un nuovo grande disco

Mnemonic è già un lavoro compiuto e maturo, soprattutto considerando che Hirsch vi ha lavorato praticamente in totale solitudine. Come un vero e proprio artigiano del suono ha affidato la sua sensibilità all’elettronica, capace di declinare idee e intuizioni in una materia sonora liquida e mutaforme. Seguendo quindi il tracciato che da Mnemonic attraversa gli ultimi singoli troviamo tutti i presupposti di un percorso di ulteriore crescita che, siamo sicuri, ci porterà presto ad un altro grande album.

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