Probabile Game of the Year, sicuramente già titolo più discusso e divisivo dell’anno. The Last of Us Parte 2 è disponibile da poco più di due settimane, ma il pubblico è già spaccato come in poche altre occasioni. In effetti la fama del gioco è preceduta dalla delicata questione spoiler, che ormai mesi fa creò un vero e proprio scandalo, e che ci riporta direttamente allo spietato review bombing che il nuovo titolo di Naughty Dog ha ricevuto sin dalla mezzanotte del giorno del lancio.
Eppure alla fine della prima run in The Last of Us Parte 2 non potremo che sentirci di fronte ad un maestoso e colossale capolavoro. Purtroppo gran parte delle critiche negative al gioco sono arrivate da chi, partendo da pregiudizi o anche dalla genuina affezione al primo capitolo, non ha proprio iniziato la nuova avventura di Ellie. Mai come in questi casi però bisogna superare il limite di un preconcetto ed affidarsi alla nuova alleanza di Naughty Dog accettando il rinnovato patto con il giocatore, che viene riscritto da zero. Se The Last of Us era il capolavoro, per molti, inarrivabile, dobbiamo constatare oggettivamente che Parte 2 abbia settato degli standard che faranno da scuola per molto tempo, ridefinendo con coraggio, e brutalità, la figura del videogiocatore.
La potenza dell’impianto narrativo
SPOILER ALERT Nel seguito della trattazione saranno inevitabili dei cenni ad eventi centrali nella narrazione di The Last of Us e The Last of Us Parte 2
Partiamo da una scena, ma da Uncharted 4. In un adorabile easter egg nell’epilogo, Nathan Drake sfiderà Elena nel livello Boulders dal primo Crash Bandicoot. Non un banale omaggio: Naughty Dog gioca con la memoria sedimentata delle sue opere e con lo status di simbolo che Crash Bandicoot ha acquisito grazie alla trilogia originale. Tornando con un balzo a The Last of Us Parte 2, ritroviamo un simile tributo nei primi capitoli del gioco. A molti infatti non è sfuggita la PS3 con i dischi, per l’appunto, di Uncharted e Jax and Dexter, che fanno parte del mobilio di uno dei primi dungeon.
Naughty Dog è quindi profondamente consapevole di quanto le sue creature siano presenti nell’immaginario collettivo, veri e propri emblemi della cultura videoludica. Per questo motivo la morte di Joel rappresenta un pivot point fondamentale non solo nel gioco, ma nella filosofia della casa di produzione. In fondo Joel, in quanto a riconoscibilità e importanza, non era un personaggio dissimile dall’archeologo protagonista della saga di Uncharted, o dal peramele pronto a tornare in grande spolvero questo ottobre.
Questo evento quindi, così crudo e brutale, recide il cordone ombelicale con il primo capitolo, e allo stesso tempo costringe il giocatore a tagliare qualsiasi legame residuo con il personaggio e il gioco stesso. Inizia la trasformazione del rapporto con il pubblico, attraverso la distruzione di quella che può essere considerata mitologia, e con la sua sovrascrittura.
The Last of Us Parte 2: la questione della doppia avventura
Eliminato fisicamente Joel, sin dal prologo si decide di stravolgere il sistema dei personaggi, imperniando la narrazione intorno ad Ellie e alla sua nemesi, Abby. Ad accomunarle amori impossibili e sentieri di vendetta, la memoria controversa di figure paterne legate quindi a doppio filo ad una maternità con la quale diventano incompatibili. The Last of Us Parte 2 è un racconto di doppi quasi perfettamente simmetrico, dove ciascuna delle due facce rappresenta una variazione speculare dell’altra.
A metà gioco arriva quindi il secondo nodo fondamentale. Dopo circa 15 ore di progressione nei panni di Ellie arriviamo al climax della storia, al culmine di questo percorso di feroce vendetta. E arrivati a questo punto, Naughty Dog riscrive nuovamente il paradigma: azzera la tua avventura fino a quel punto e ti costringe a vivere, appunto, la storia nei panni di Abby.
Dove classicamente un gioco sarebbe finito (difatti l’avventura di Joel e la piccola immune durava circa 15 ore), Naughty Dog sceglie una soluzione estrema. Esaspera una meccanica che da Resident Evil 2 a NieR: Automata, passando da GTA, ha portato il giocatore a vestire i panni di diversi personaggi durante la stessa run, ma la spinge alle estreme conseguenze. Rigiocare da zero la stessa avventura nei panni del personaggio che ha di fatto distrutto qualsiasi legame con The Last of Us e tutto l’universo emotivo che implica.
The Last of Us Parte 2: al di là del bene e del male
Questo doppio inseguimento si è rivelata la maniera perfetta per tornare su un capolavoro come The Last of Us e sulla grande menzogna con la quale si concludeva. La caratterizzazione di Abby, figlia delle Fireflies, ci porterà a scardinare qualsiasi giudizio etico e morale, facendoci lentamente nutrire empatia per l’antagonista. Al punto che ad un certo punto non avremo più un dualismo, ma un’identificazione: tornati a quel climax centrale, affronteremo Ellie vestendo i panni di Abby.
In fondo, lo scontro del giocatore contro se stesso, contro le sue convinzioni, non più scisso tra due personaggi, due avventure, due giudizi, ma riunito in qualcosa davvero inedito nel panorama videoludico. Non solo per la novità della forma del gameplay, ma per la potenza narrativa con cui tutto ciò si impone alla sua esperienza.
E qui sarebbe opportuno aprire una parentesi sulla quantità di cinema che c’è in questo videogioco. Al di là della qualità della scrittura, troveremo una messa in scena che davvero rappresenta un nuovo riferimento nella conduzione artistica di un videogioco. A completamento, la recitazione dei personaggi raggiunge un livello di realismo impressionante, sorretta da un reparto tecnico incredibile.
Perché The Last of us Parte 2 non è un racconto di vendetta
Ma l’epilogo non poteva essere quello del teatro. E qui il terzo miracolo: dopo aver intessuto questa doppia elica di vendetta, gli autori distruggono nuovamente ogni nostra convinzione. Così da Constance 2425 inizia una sezione che qualsiasi altra casa di produzione avrebbe venduto come DLC, e che rappresenta la vera conclusione di The Last of Us Parte 2.
Dopo un confronto durissimo con Tommy e Dina nel paradisiaco ranch in cui le due ragazze sembrano vivere felicemente con il piccolo James, torniamo prepotentemente nella psiche di Ellie. Attraverso flashback, sogni, incubi e deliri scopriamo qual è il vero conatus che spinge Ellie nella sua disperata ricerca dell’assassina di Joel. Non è la sete di vendetta, ma il desiderio di pareggiare i conti con quell’amico-padre che era stata incapace di perdonare. L’ultimo viaggio non è quello verso Abby, ma verso se stessa, verso il suo passato e i nodi irrisolti del rapporto con Joel. Per perdonare Joel, deve prima perdonarsi per non essere stata capace di superare quella menzogna prima della sua morte.
Così le ultime sezioni di gioco saranno davvero le più crude e strazianti dell’intera opera, e ci porteranno all’unica, possibile, conclusione. Ellie è sola con se stessa, con il macigno della responsabilità verso l’umanità e con il ricordo di quell’uomo che, salvandola, l’ha condannata.
Cosa resta del giocatore?
Niente, probabilmente un cumulo di lacrime e dolore. Chi riesce a non farsi sopraffare si troverà innegabilmente rinnovato da un’esperienza profondamente catartica. E se da questa trattazione potrebbe emergere un’opera di videoarte più che un videogioco, è bene specificare che il gameplay di The Last of Us Parte 2 è tra i migliori dell’attuale generazione.
L’integrazione perpetua tra le meccaniche di gioco e l’ambiente, l’ibridazione unica di stealth, action, survival e horror sono gli ingredienti di una formula davvero perfetta. Con sottili accorgimenti sul ritmo di gioco, sono persino riusciti a svecchiare il gameplay del primo capitolo, che ai più intransigenti poteva risultare legnoso e ripetitivo. Tutto ciò ci regala delle sequenze memorabili, che strizzano l’occhio ai capolavori del genere come Metal Gear Solid 4, ma che trovano la loro propria identità: la sezione con il cecchino o la fuga sull’isola dei Serafiti sono già storia del videogioco.
Cosa resta, quindi, del giocatore? Oppure, identicamente, del gioco come l’abbiamo sempre inteso? In questa generazione abbiamo avuto due opere uniche, totalmente diverse tra di loro ma accomunate da uno stesso intento artistico. Death Stranding e Red Dead Redemption 2 sono stati due monumenti al videogioco, e ciascuno si è assunto il rischio di portare l’esperienza-gioco su un nuovo livello. Superandoli dove si sono mostrati qualche volta lacunosi e forse troppo pretenziosi, The Last of Us Parte 2 porta a compimento questo percorso ormai inevitabile. Il videogioco è stato definitivamente elevato allo stato dell’arte, e il fruitore di questo videogioco d’arte totale è un giocatore nuovo, capace di superare i suoi stessi limiti e compiere quel salto della fede capace di abbracciare l’opera in tutte le sue, coraggiose ed estreme, scelte.
The Last of Us: Parte 2 | Testato su PlayStation 4