A proposito (di niente), è uscita l’autobiografia di Woody Allen
Ed è senza ombra di dubbio uno dei libri più importanti dell’anno. Che siate cinefili o no, che siate appassionati della comicità di Allan Stewart Konigsberg o meno, A proposito di niente si rivelerà una delle letture migliori della stagione. Con la sua autobiografia Woody Allen si racconta in maniera totale, mettendo a nudo persino i passaggi più complessi della sua vita senza mai rinunciare alla caustica comicità che caratterizza la sua estetica.
Difatti l’impressione che si ha leggendo A proposito di niente è quella di essere di fronte ad una sua sceneggiatura. Un dettaglio dietro l’altro avremo la conferma (come se ce ne fosse stato il bisogno) che attraverso il suo cinema non ha fatto altro che raccontarsi, come in un’enorme e perpetua seduta psicanalitica. Ed enumerare i rimandi continui tra vita e schermo, dai genitori di Bobby Dorfman in Café Society all’irresistibile fascinazione per la grande mela, passando per la lunghissima sfilata di donne e muse, sarebbe un inutile esercizio di elencazione.
Eppure sorprende quanto immediatamente la lettura evochi istanti specifici della filmografia alleniana. Magari un’unica riga di sceneggiatura, magari un unico frame fra tanti, o poche note del jazz che sempre li accompagna. Riscopriamo un Woody Allen che, attingendo dal suo vissuto, lavora come un vero e proprio miniatore. Sembra quasi fornire una nuova chiave di lettura del suo cinema, non più fatto solo di modelli, manierismi e atmosfere, ma particolarmente attento ad ogni singolo elemento della drammaturgia. E in questo senso, A proposito di niente può essere visto come un’enciclopedia, più che un’autobiografia.
Cultura cinefila, culto cinefilo
Chi si aspetta complicate ed indigeste trattazioni di poetica potrebbe rimanere deluso. Chiunque speri di comprendere quanto di Ingmar Bergman ci fosse in Amore e guerra o Interiors troverà il racconto entusiasta delle collaborazioni con Sven Nykvist, prediletto direttore della fotografia del maestro svedese. Chi pensava di leggere la confessione su Stardust Memories e il calco di 8½ troverà poche parole riguardo la pellicola, per altro sentita come molto personale e riuscita dall’autore. Al suo posto leggerà della febbrile agitazione e della palpabile incredulità che emerge dal racconto della telefonata che ha ricevuto da Federico Fellini in persona durante un soggiorno romano.
Traspare fin dai racconti dell’infanzia l’atteggiamento praticamente reverenziale di Woody Allen nei confronti del cinema. Non come arte o linguaggio, ma come vetrina d’alta società di personaggi venerati al limite col sacro. Dalla lettura non emerge un vero e proprio background cinefilo, ma piuttosto i dogmi di un culto borghese. Così diventano passaggi fondamentali quelli in cui le icone che il giovane Allan sogna nelle sue fantasie di polvere di stelle si trasformano in compagni, colleghi ed amici.
La prosa affascinante e pungente, sempre capace di ritmare la narrazione fuori dal metro di un noioso memoriale, si nutre di questa autoironica consapevolezza. Senza false modestie, Allen ribadisce a più riprese quanto si ritenga più fortunato che abile, sciorinando spaccati della sua vita artistica trattandoli come fossero copioni delle sue gag. Così storie di cinema, jazz, teatro e stand-up comedy diventano tasselli della grande commedia che è stata la vita di Woody Allen, che non smette di essere commedia anche quando viene raccontata.
Commedia e tragedia: la querelle de Mia Farrow
Al racconto brillante della sua vita non poteva però che subentrare una lunga digressione sulla complicata e delicata faccenda riguardante le accuse di violenza sessuale perpetrate nei suoi confronti. D’altronde era indispensabile che la testimonianza completa di Woody Allen chiudesse un’epopea protratta per quasi quarant’anni. Dalla prosa frizzante della commedia si passa ad un registro quasi interamente cronachistico, in cui bisogna riconoscere all’autore il merito di non aver espresso opinioni, ma di essersi difeso con l’evidenza dei fatti, riportando le numerose sentenze e perizie che lo scagionarono all’epoca.
Il flusso di coscienza di Woody Allen si fa un po’ più malinconico e disilluso nella seconda parte dell’autobiografia, trovandosi a fronteggiare il ricordo di un’epoca in cui a causa di quelle accuse ha perso qualsiasi credibilità. Al racconto di cene e di gala, di premiazioni disertate mentre l’Academy gli attribuiva l’Oscar, subentra quello doloroso degli anni recenti, in cui il movimento #MeToo ha donato nuovo slancio ad una vicenda forse incompatibile con i presupposti della crociata.
A proposito di niente: libro imprescindibile su un autore imprescindibile
Hollywood che gli volta le spalle, colleghi che ai suoi casting call rispondono “È una vita che aspetto questa chiamata, e la ricevo ora che non posso accettare“. L’amarezza e l’insicurezza permeano il racconto delle ultime produzioni, tratteggiando ora un Woody Allen davvero spaventato e insicuro di fronte all’approssimarsi della fine della sua prolifica carriera. Spariscono quasi completamente quegli aneddoti straordinari che hanno arricchito e variegato il ritmo della narrazione nelle prime sezioni.
Quasi completamente: anche nel dolore, riesce comunque ad evocare quella magia inseguita sin da bambino. Il racconto, nelle ultime pagine, della cena a casa di Roman Abramovic, convinto di essere invece da Roman Polanski, è solo l’ennesimo di una sfilza di digressioni che da sole valgono la lettura del volume.
A proposito di niente è edito in Italia da La nave di Teseo, ed è disponibile ormai da diversi mesi. Lettura perfetta in queste prime giornate di mare, ma anche da studiare con più attenzione quando fuori dalla finestra piove una suggestiva pioggia newyorchese. Questa autobiografia è l’occasione perfetta per conoscere, approfondire o rivalutare questo autore imprescindibile della storia del cinema.
A proposito di niente, a proposito di aneddoti
Affari di famiglia
La totale interscambiabilità tra la vita e la finzione filmica è dimostrata dalla quantità sterminata di aneddoti che costellano la narrazione. Come non citare il racconto che troviamo nella prima sezione del libro, in quelle pagine che raccontano la convivialità della famiglia ebraica in cui il giovane Allen è nato e cresciuto.
Famiglia affettuosa ma ligia alle regole, spesso contraddittorie, della fede: non si possono mangiare maiale e crostacei. Così la prima cena da Lundy’s, a Brooklyn, diventa l’occasione per Allan non solo di ingozzarsi di ostriche e capesante, ma anche per assaggiare quel mondo borghese che sognava ad occhi aperti.
Quando riceve la ciotola con l’acqua per lavarsi le mani dopo aver pulito i frutti di mare, gli sembra di avere una piscina personale. Tutto ciò diventa uno sketch quando, la volta successiva, scambia il brodo con suddetta piscina, lavandosi le mani nell’acqua delle vongole.
Louise Lasser: tutto quello che non avete mai osato chiedere
Parlando delle tante donne che si sono avvicendate nella sua esistenza non poteva non soffermarsi sulla problematica Luoise Lasser, attrice per lui in Prendi i soldi e scappa, Il dittatore dello stato libero di Bananas e Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (ma non avete mai osato chiedere).
Lei di sesso certamente se ne intendeva, e in maniera praticamente vorace. Durante una cena, prima dell’arrivo dell’antipasti, costrinse Allen ad una fuga d’amore nei vicoli di New York: i due consumarono un rapporto tra la Broadway e la Settima!
Emma Stone: tutta colpa di un uovo alla coque
Tra le mitologie femminili nella memoria di Woody Allen il modo in cui si siano intiepiditi i rapporti con Emma Stone dopo i due film a cui hanno lavorato insieme rappresenta un unicum. Seppe troppo tardi che la giovane e talentuosa attrice ha un argomento taboo: le uova bollite.
Così quando Allen le raccontò uno dei rituali della sua colazione, la loro grande amicizia si ridusse ad una sparuta conoscenza. Allen infatti prepara un pastone di riso soffiato e uova appena bollite che avrebbe chiuso, in effetti, qualsiasi relazione.
A cena da Roman Polanski (?)
Qualche parola in più su questa serata surreale. A pranzo con Larry Gagosian quest’ultimo accennò di aver rivisto recentemente Roman Polanski, vecchia conoscenza che Allen non rivedeva ormai da decenni. Gagosian si propone per organizzare un incontro a cena dal regista polacco, e Woody Allen e consorte si presentano quindi in questa villa straordinaria, decisamente fuori scala rispetto a ciò che avevano immaginata fosse la residenza Polanski.
E in effetti quando compare il padrone di casa, tutti masticano il nome Roman intorno a lui, parlando di yacht e ville da veri signori. Anche la moglie di Allen, che non conosceva Polanski, partecipava al simposio, invitando il dubbioso marito a non essere scortese. Ma i dubbi di Allen erano fondati: erano nella lussuosa abitazione di Roman Abramovic, il cui giardino aveva costi di gestione di gran lunga superiore agli incassi di Rosemary’s Baby.
Federico, sei tu?
E qualche parola in più anche su questo incontro che rappresenta di certo uno dei ricordi più importanti per Allen. Regista tra i più amati, a cui è dedicato uno degli sketch più belli di Io e Annie, e omaggiato esplicitamente in Stardust Memories e To Rome With Love.
Fellini chiamò Woody Allen da una cabina telefonica, ma di tutta risposta quest’ultimo, pensando fosse uno scherzo di cattivo gusto, lo mandò a quel paese. Il dubbio di aver liquidato uno dei suoi miti lo tormenta, fino a quando non scopre, rivolgendosi ai suoi assistenti, che all’altro capo del filo c’era proprio Fellini in persona.
Da una lunga chiacchierata i due si sentirono provenire da ambienti che si somigliano, e Allen promise a Fellini che lo sarebbe andato a trovare quando sarebbe tornato a Roma. La volta successiva il Maestro però era già morto: evidentemente, aveva paura che Allen facesse sul serio.
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