Gemelli di Ernia si presenta come una soddisfacente traduzione musicale di una perenne lotta con i propri demoni, con la propria persona, con la propria essenza. Uno di quegli album di cui tutti hanno bisogno per conoscersi un po’ meglio, per accettarsi un po’ di più.
Seduti tra le ultime file di una classe fin troppo piena, ci si girava verso l’unico volto fraterno in quella folla fin troppo rumorosa. Si condivideva con lui un filo delle cuffiette e si iniziava ad ascoltare una canzone, quasi a voler costringere quel mondo veloce a fermarsi solo per un attimo, quasi a voler conciliarsi con quella realtà che ci fa sentire così fuori luogo solo per un attimo. È un momento che stiamo vivendo o abbiamo vissuto tutti, da più o meno grandi. È un momento cheGemelli di Ernia, perfetto per quelle notte in cui ci sentiamo terribilmente sbagliati, ci fa riprovare a partire dalla prima traccia.
Una rapida panoramica sulle tracce più significative di Gemelli
Vivoè come un grido che lacera il silenzio della notte. Perfetta ouverture, la prima traccia di Gemelli è la più sincera dichiarazione di rivincita che sia stata composta nell’ultimo periodo in Italia. Rifiutandosi di ricorrere all’ovvietà degli sfoggi della trap, rifiutandosi di sfoggiare pesanti collane d’oro e costosi vestiti di marca, Ernia canta il suo desiderio di voler imporsi nel mondo – grida di avercela finalmente fatta. “Sono appena uscito dal fango con la faccia pulita di un santo” continua a rimbombare nelle orecchie anche dopo la fine della canzone, trasformandosi nell’urlo liberatorio di chi ce l’ha fatta, di chi è riuscito a sconfiggere gli ostacoli, accettando la dura realtà della vita.
Se la prima traccia di Gemelli si è imposta come un brano aspro come gli innumerevoli ostacoli con cui la vita ha voluto affrontare l’artista, con Superclassico viene mostrata l’altra anima di Ernia, l’anima gemella. La volontà di nascondere quella sfaccettatura caratteriale più dolce, più malleabile e forse anche più fastidiosa (“sento che un po’ ti sento. Dio, che fastidio“) viene finalmente disintegrata dal desiderio, presente in tutto l’album, di mostrarsi per quello che si è veramente. È come se il rapper di Milano avesse definitivamente deciso di abbattere le sue barriere (“come se togliessi la maschera“). Musicalmente, invece, il brano riassume alla perfezione le ultime tendenze del pop italiano – nel ritornello sembra quasi di sentire l’ultimo Coez, ma questa potrà essere solamente una nostra impressione.
Senza ombra di dubbio, Puro Sinaloa è la traccia più potente dell’album. Omaggiando le proprie radici, Ernia decide di riprendere la musicalità degli anni Duemila, i versi di Marracash –in particolare, Popolare 2018 (“Ed è così che la vera Milano suona, ah / Per questo arrivo da Bo-Bo-Bonola” è un esplicito tributo al “AAA Cercasi killer nella tua zona / Per questo arrivo da Ba-Ba-Barona / Così è come la vera Milano suona“)– e le rime della Puro Bogotà dei Club Dogo. E decide di farlo con l’aiuto del flow di Tedua, Rkomi e Lazza e del beat di Big Joe. Il tuffo nel passato di Ernia si trasmuta in un tuffo nel passato dell’ascoltatore, del nostro passato. In questo 2020, una traccia corale così vera non si era ancora sentita.
Circoscrivibile nella metà dell’album più oscura e grezza,Morto Dentro si presenta come una ripresa del mood che Ernia aveva creato in 68, il suo secondo album. Nonostante condivida le stesse sonorità del precedente Vivo, rispetto a quest’ultima, la traccia si presenta come un brano antitetico, in cui la scrittura ricostruisce un’anima più buia, drammatica e disillusa. Ernia proietta, quindi, un’atmosfera più simile a quella a cui nell’ultimo periodo il rapper aveva abituato il suo pubblico, riproponendo il tratto più ironico e leggero della sua discografia (“Lei mi fa un Boccaccio perché, se mi suca, è poesia“), presente anche nella successiva Non me ne frega un cazzo e nella fiammante U2.
L’appena citata Non me ne frega un cazzo, invece, può essere definita come la traccia più radiofonica dell’intero album, resa ancora più orecchiabile grazie alla presenza dell’intoccabile Fabri Fibra, tra i re Mida del rap italiano. Come il resto dei featuring presenti in Gemelli (tra i più riusciti compare anche Fuoriluogo, scritta a quattro mani con la promettente Madame), anche Non me ne frega un cazzo colpisce per l’impeccabile scelta del cantante con cui Ernia decide di collaborare. Stando a ciò che è stato il rapper, tutti gli ospiti “sono artisti, nel loro modo di essere, mi sono vicini. Chi nella vita, chi nella musica, chi nelle insicurezze, chi nell’ispirazione“.
Per concludere, nonostante riescano a conciliarsi con una perfezione geometrica nella persona di Ernia, le due anime di Gemelli, presentate in questa veloce panoramica sulle tracce più emblematiche dell’album, suggeriscono forse un’atmosfera un po’ troppo altalenante. È quasi come se quel sentimento di incontrollabile voglia di libertà che domina l’intera composizione portasse ad un binomio sonoro interessante, ma che musicalmente pecca di linearità.
Le due anime gemelle dell’ultimo album di Ernia
Si mostra senza veli. Dopo essersi tolto la maschera da “duro” che l’aveva indissolubilmente accompagnato prima della sua seconda genesi, Ernia prende la decisione di denudare la sua anima e di lasciare trasparire il suo lato più debole, senza sacrificare l’asprezza dello street rap con cui si era fatto conoscere al pubblico e che lo ha aiutato a sedersi nell’Olimpo della scena musicale italiana. Una decisione che si traduce musicalmente in una struttura che, scissa tra durezza e dolcezza, si presenta come una rima alternata, come una catena di melodie introspettive e sonorità più ruvide. Perché, dopotutto, “i gemelli possono essere diversi“, queste le parole del rapper per descrivere i due nuclei del suo album, separato tra la durezza dell’oscurità e la morbidezza della luce.
Come un bilancio in note della propria vita, Gemelli di Ernia si presenta come il suo disco della maturità, di una maturità personale che, tuttavia, non coincide l’apice della carriera artistica in perenne evoluzione del rapper milanese. Non sarà il suo miglior disco –Come uccidere un usignolo, che aveva colpito il pubblico con la matura profondità delle sue rime, rappresenta ad oggi la miglior prestazione del rapper–, ma è di certo il più consapevole, il più adulto.