Abbiamo deciso di fare qualche domanda a Germanò al giovane cantautore romano da poco trasferitosi a Milano. Piramidi, il suo secondo album, racconta un po’ questa nuova avventura, questa nuova vita, ribadendo il concetto rispondendo ai nostri quesiti. Con Piramidi Germanò ha trovato il ritmo che cercava nell’album precedente, il suo primo. O meglio, Alex il ritmo lo aveva già trovato con il suo esordio e con il secondo album, prodotto da Bomba Dischi e Universal. Lo conferma. Ecco cosa ci ha voluto raccontare.
Piramidi è uscito il 10 aprile in pieno Lockdown, un periodo forse un po’ sfortunato per la musica, ma com’è andata? Che impatto credi abbia avuto il disco? Speri di aver aiutato qualche povera anima a consolarsi ascoltando le tue canzoni?
Che Piramidi dovesse uscire ad aprile era stato deciso da un po’ e ci sembrava (con Bomba Dischi) un rischio ulteriore rimandare l’uscita, ancora adesso non sono certi gli sviluppi riguardo le possibilità di fare live tanto vale dare qualcosa agli ascoltatori che sono costretti a rimanere digiuni da concerti
Questa quarantena è stata difficile per tutti, ma tu che hai scritto Piramidi nella solitudine di casa tua, come hai trascorso questi mesi? Hai scritto, trovato ispirazione, portato a termine qualcosa di nuovo?
Tutto sommato bene, mi ritengo fortunato e l’uscita del disco mi ha aiutato a levarmi un gran peso dal cuore. Durante la scrittura mi ero già costretto a una forma di isolamento per potermi concentrare e schiarire le idee, speravo in un esito diverso invece di “prolungare la mia quarantena” . E’ difficile costringere la creatività in un periodo in cui si ha voglia di suonare e basta.
A noi Piramidi è piaciuto molto, e ci è sembrato che tu abbia proseguito coerentemente un discorso già iniziato in Per cercare il ritmo. Ma anche se sono due album molto simili, cosa credi sia cambiato tra un lavoro e l’altro?
Mi sentivo un po’ in dovere di continuare il discorso iniziato con Per cercare il ritmo per ricordami cosa mi ha spinto a registrare Grace e non perdere il contatto con chi si è affezionato a me. Per cercare il ritmo è nato in saletta, portavo una canzone alla mia band e registravamo l’arrangiamento finale semplicemente dal telefono, i brani si dovevano reggere sempre con quei 4 elementi, il più possibile. Piramidi è un album meno collaborativo che sperimenta con più elementi e in cui ho esprimo la mia passione per i sintetizzatori, per ritmiche più quadrate e la volontà/possibilità di portare più elettronica dal vivo.
Per un romano che si trasferisce a Milano è sempre un po’ difficile adattarsi alla scena musicale lombarda, credi ci siano effettivamente delle differenze?
Penso soprattutto al suonare live e la portata di “popolarità” a cui si ambisce appena si crea un progetto nuovo. Di Roma mi manca la disillusione che crea inaspettatamente nuove espressioni creative e la voglia di non mettere la competizione al centro di tutto, a Milano nonostante si suoni un pochino meno c’è una grandissima consapevolezza sonora e di produzione che ammiro molto.
Oltre il Macao, quanto c’è di Milano, e della tua vita milanese nel disco. Come l’hai vissuta e la vivi la città?
C’è stato un periodo in cui ogni volta che uscivo da stazione centrale mi sentivo estremamente a casa, e un po’ proiettato nell’Italia del futuro. C’è molto di Milano nel mio disco, sento di vivere in una città trainante ma comunque in una metropoli per cui inevitabilmente chi vi abita sente i lati negativi del capitalismo, soprattutto quelli emotivi.
Credi di aver trovato il “ritmo che cercavi” nel primo disco? Oppure la tua ricerca continua?
Ho trovato sicuramente più equilibrio rispetto a prima. Ho anche capito quanto sia fondamentale imparare ad amare il processo piuttosto che il risultato; che non da quasi mai gli effetti sperati e comunque dura solo un attimo.