Invece una storia prende le mosse innanzitutto da una voglia: quella di scrivere. È con queste parole che Joël Dicker affida al protagonista de L’Enigma della Camera 622 l’arduo compito di spiegare cosa spinga una persona a creare una storia e a vivere nella speranza che lì fuori, nel mondo, ci siano sconosciuti in grado di lasciarsi irretire da quel racconto.
Come in altri suoi romanzi, a partire da La Verità Sul Caso Harry Quebert, diventato una serie con Patrick Dempsey, Joël Dicker riesce ad intrecciare con abile artificio una trama thriller/gialla, con una riflessione sempre attuale e sempre interessante sull’arte della scrittura.
Il suo ultimo romanzo, che esce l’11 Giugno sempre con La Nave di Teseo, non fa differenza. L’Enigma della Camera 622 ruota intorno ad un omicidio, ma si concentra anche su uno scrittore che deve indagare su una storia che gli è capitata tra le mani per caso e che comincia ad assumere le sembianze di uno scheletro narrativo nel quale smarrirsi.
Il titolo del nuovo romanzo di Joël Dicker deriva dalla camera mancante all’interno del Palace De Verbier, hotel di lusso incastonato in uno scenario da mozzare il fiato, quello delle Alpi Svizzere.
È proprio per svelare l’arcano che si nasconde nella mancanza del numero 622 nella consequenzialità numerica delle stanze dell’albergo, che il protagonista-scrittore (che si chiama Joël, come l’autore) si imbatte in quello che oggi si potrebbe definire un cold case.
Anni prima, infatti, in quella stessa stanza venne rinvenuto morto un uomo facoltoso, in lizza per diventare il presidente di una delle più rinomate banche svizzere.
Spinto dalla curiosità e dall’energia della sua vicina di stanza Scarlett, lo scrittore comincerà ad indagare sui motivi che hanno portato alla morte del banchiere e soprattutto la mano che si cela dietro l’efferato omicidio.
Un libro nel libro, Recensione
Uno degli aspetti più interessanti del nuovo romanzo di Joël Dicker, e che di sicuro farà la gioia di quei lettori appassionati dal mondo che si cela dietro l’oggetto finito del libro, è il gioco di specchi che l’autore costruisce, una mise en abyme continua.
Il libro si apre con la dedica all’editore Bernard De Fallois, editore e amico di Joël Dicker, recentemente scomparso. Ma è sempre per omaggiare Bernard de Fallois che il Joël di carta e inchiostro, protagonista del libro che il “vero” Joël Dicker sta scrivendo, sta cercando di scrivere un libro.
L’autore fittizio però è in qualche modo bloccato, come se la morte del suo editore avesse divorato la sua capacità di inventare mondi e personaggi, sciando sulle parole con un’arte che prima gli era venuta sempre facile.
Ed è per sfuggire all’ombra del blocco dello scrittore che il protagonista decide di accettare i consigli delle persone vicine a lui e di spostarsi in un hotel di lusso sulle Alpi Svizzere.
Con questa sottospecie di cortocircuito letterario, con il libro dentro il libro, Joël Dicker non si limita a creare un trucchetto diegetico che potrebbe rappresentare solo un mero esercizio di stile: lo scrittore, piuttosto, sembra aver deciso di scrivere L’Enigma della Camera 622 come una sorta di elaborazione del lutto.
Da una parte la possibilità di tramutarsi in un personaggio letterario, filtrando così le forte emozioni della perdita, dall’altro osservando dall’esterno le sue reazioni alla morte di un amico e mentore, di un uomo che con un semplice sì era riuscito a cambiare la vita di Joël Dicker, rendendolo un autore letto e venduto in moltissimi paesi del mondo.
Al di là di questa chiave di lettura molto personale, L’Enigma della Camera 622 rientra di diritto nelle produzioni a cui Joël Dicker ci ha abituato nel corso degli ultimi anni, con romanzi come Il Libro dei Baltimore e La Scomparsa di Stephanie Mailer: romanzi che nonostante la mole – anche in questo caso viaggiamo sulle 700 pagine – si lasciano divorare, rendendosi capaci di incantesimi che incatenano la curiosità del lettore e non la lasciano andare finché anche l’ultima pagina non è stata archiviata.
Ritornano anche alcuni punti fermi della produzione: non solo la figura centrale di uno scrittore e/o dell’arte della scrittura, ma anche il racconto che si dispiega su due linee temporali molti diverse e che è, più di tutti, il marchio distintivo dello scrittore. Questo fa sì che il lettore sia impegnato su due livelli: da una parte conoscere e scoprire i dettagli di quello che è avvenuto nel passato, dall’altra seguire da vicino le indagini dello Scrittore (sempre in lettera maiuscola) e della scoppiettante Scarlett.
Il tutto si svolge in una giostra di continue emozioni, con colpi di scena e cambi di direzione inaspettata che danno soddisfazione a chi legge e soprattutto non permettono mai dei cali di attenzioni né dei rallentamenti in un ritmo che è sempre molto ben calibrato e che, soprattutto, non viene messo in primo piano a discapito della costruzione dei personaggi.
Ogni personaggio che appare nel libro, infatti, è sempre molto caratterizzato e, per questo, molto credibile. Che si tratti di un usciere che riceve una lettera o di una vicina di casa con un cane particolarmente dispettoso, Joël Dicker non lesina mai sulle loro caratteristiche né sulla ricerca di una verosimiglianza che odori di realtà e non di una messa in vetrina delle proprie capacità.
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