I Testamenti è il nuovo libro di Margaret Atwood, uscito nelle nostre librerie con Ponte alle Grazie lo scorso 10 Settembre. Si tratta di uno dei romanzi più attesi della stagione: soprattutto per rappresentare il sequel del capolavoro di Margaret Atwood Il racconto dell’ancella, da cui è stata tratta la serie The Handmaid’s Tale.
Nel lontano 1985 la scrittrice canadese diede alle stampe il racconto di un mondo distopico, assoggettato a un patriarcato profondamente maschilista dove le donne erano ridotte o ad essere semplici Mogli o, appunto, Ancelle. Queste ultime avevano il compito di essere la culla delle future vite della Repubblica di Gilead: erano, dunque, delle concubine con il solo compito di andare a letto coi Comandanti che le avevano richieste e sperare di rimanere incinte. In Il Racconto dell’Ancella la storia era narrata dall’ancella Difred: sua era la testimonianza racchiusa in delle musicassette che avevano fatto sì che la sua voce arrivasse molto avanti negli anni, ben oltre i limiti di Gilead.
Su questa trama si era basata la prima stagione di The Handmaid’s Tale, che seguiva quasi pedissequamente quello che la Atwood aveva scritto nel romanzo, compresa l’entrata in scena di un’ipotetica cellula di ribelli che si faceva chiamare Mayday. Con la conclusione della prima stagione della serie e il successo riscontrato da pubblico e critica, il telefilm de Il Racconto dell’Ancella è dovuto andare avanti: inventandosi il futuro delle vicende di Difred, con la supervisione di Margaret Atwood che prese parte alla produzione.
Questa lunga premessa è necessaria per sottolineare l’intenso ma intelligente lavoro che ha fatto Margaret Atwood nel realizzare il suo nuovo libro.
I Testamenti è ambientato quindici anni dopo la conclusione del primo romanzo: in questo modo la scrittrice ha potuto saziare da una parte la curiosità del lettore, ma allo stesso tempo ha inserito elementi che sono stati presentati all’interno della saga, creando così un ponte verso gli spettatori della serie e, in definitiva, collegando i due racconti, facendo sì che uno non potesse esistere senza l’altro e, allo stesso modo, permettendo che I Testamenti potessero essere letti da chi avesse letto solo il romanzo precedente o da chi, al contrario, avesse solo visto la serie televisiva.
La costruzione narrativa del romanzo, in questo modo, presenta una profonda consapevolezza da parte della Atwood non solo del materiale che avrebbe dovuto gestire, ma anche dei gusti del pubblico che l’avrebbe seguita.
Attenzione: da qui sono presenti spoiler sulla fine della prima stagione di Il Racconto dell’Ancella e sulla conclusione del romanzo del 1985
Il Racconto dell’Ancella si concludeva con la nostra Difred che veniva portata via dagli Occhi – i servizi segreti di Gilead -, prima di ipotizzare che coloro che la stavano portando via potessero essere degli agenti di Mayday. Nel libro il dubbio rimane irrisolto, sebbene il fatto che anni dopo a un convegno vengano utilizzate le sue musicassette lascia presumere che il suo arresto fosse in realtà una fuga. Nella serie, Difred riusciva a far scappare da Gilead sua figlia, di nome Nicole.
Ecco, questi sono i due elementi principali che Margaret Atwood utilizza per far iniziare I Testamenti. Come abbiamo detto poco sopra, la storia è ambientata quindici anni dopo la fine della prima serie/del primo romanzo.
La particolarità di questo “sequel” è che la Atwood decida di affidare lo snodarsi del racconto a tre voci distinte. Troviamo una ragazza che cresce nella casa di un Comandante e della Moglie, credendo a tutti i dogmi della religione e del sistema totalitario rappresentato dalla Repubblica di Gilead. Poi c’è il punto di vista di una ragazzina che vive in Canada, lontana dai limiti di Gilead ma da essi in qualche modo influenzata, anche solo per tutte le volte che il nome della Repubblica confinante si affaccia al telegiornale. E infine troviamo la voce di un personaggio ben conosciuto, Zia Lydia, una di quelle donne con il compito di addestrare le Ancelle e di purificare lo spirito delle ragazze.
Attraverso il personaggio di Zia Lydia Margaret Atwood crea un ulteriore intreccio e un altro piano temporale, perché trascina il lettore ad un periodo precedente persino ai fatti raccontati ne Il Racconto dell’Ancella, quando gli Stati Uniti erano appena caduti e la Repubblica di Gilead era ancora una creatura informe che aveva bisogno delle mani di personaggi dalla moralità dubbia per poter emergere come simbolo di purezza e giustizia.
Ed è proprio in questa dimensione del passato che I Testamenti tocca vette inarrivabili. Da un sequel siamo sempre portati a pensare che ci mostrerà dove stiamo andando. Margaret Atwood arricchisce questa aspettativa raccontandoci anche da dove siamo partiti.
E il ritratto che la scrittrice canadese fa di quel momento zero in cui Gilead è nata è quanto di più agghiacciante si possa immaginare. Questo perché in quelle pagine in cui Zia Lydia racconta il passato, vediamo i due volti del nostro stesso tempo. Il passato e il presente. Le pagine orribili della storia contemporanea dei rastrellamenti ebrei (e, soprattutto, l’episodio del velodromo di Parigi) si mescolano al ritratto della società odierna, che la Atwood ha confessato di aver preso come modello narrativo.
La Storia, in I Testamenti, è un mostro dal quale non siamo riusciti a scappare. Una creatura affamata che continua a inseguirci consapevole che l’essere umano non è fatto per imparare, ma per dimenticare i propri errori. Ma, allo stesso tempo, Margaret Atwood è consapevole di quello che il pubblico vuole e, così, conduce il lettore esattamente dove vuole andare.
Avanti.
Verso nuove scoperte e nuove rivelazioni. E in questo senso I Testamenti potrebbe rappresentare l’indizio fondamentale che ci suggerisce qual è il percorso che la serie televisiva sta perseguendo.
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