Non ho mai | Recensione dell’ennesimo teen drama di cui, forse, non avevamo bisogno
Non ho mai... si distingue per un'interessante prospettiva culturale, ma questo non basta per essere davvero originale rispetto a molti altri teen drama.
Non ho mai è un teen drama ideato e creato da Mindy Kaling e Lang Fisher per Netflix, su cui ha debuttato il 27 Aprile 2020.
Cast
Maitreyi Ramakrishnan: Devi Vishwakumar
Darren Barnet: Paxton Hall-Yoshida
Ramona Young: Eleanor
Lee Rodriguez: Fabiola
Richa Moorjani: Kamala
Jaren Lewison: Ben Gross
John McEnroe: John McEnroe
Poorna Jagannatha: Dr. Nalini Vishwakumar
Trama
Dopo aver affrontato la perdita del padre e una temporanea paralisi alle gambe, Devi tenta di dare una svolta alla propria vita, provando a dare un ordine ai propri problemi e cercando di raggiungere uno status sociale di rilievo.
Trailer
Non ho mai… |Â Recensione
Attenzione, seguono spoiler!
Sesso, popolarità e appartenenza
Così come in moltissimi altri teen drama già visti, la terzina popolarità -sesso-appartenenza costituisce il fulcro della narrazione di Non ho mai. I protagonisti della nuova serie Netflix conducono più o meno burrascosamente le loro esistenze, tentando di perseguire questi valori in maniera più o meno agevole.
Il punto di vista è, ancora una volta, quello di una giovane ragazza che vuole ritagliarsi il proprio spazio all’interno di una comunità scolastica fatta da leoni e iene. Devi è sempre appartenuta al gruppo dei nerd, delle ragazze insignificanti e indegne d’esser notate, ma la giovane è decisa a cambiare lo status quo delle cose, perseguendo un unico obiettivo: la normalità , fine mai scontato e banale.
Stanca di essere definita in virtù dei suoi traumi passati, Devi decide di guidare se stessa e le sue migliori amiche, Eleanor e Fabiola, verso il porto dell’affermazione personale. Per raggiungere l’agognato obiettivo è necessario affiancarsi un partner, cambiare il proprio vestiario e frequentare la giusta cerchia di amici, metodi già abbondantemente sperimentati con più successo e originalità in altri prodotti.
Devi cerca così di manipolare la propria realtà , tentando di apparire disinvolta e totalmente a proprio agio nel mondo gender fluid dei social, delle relazioni di convenienza, delle bugie costruite ad arte per far sì che gli altri possano invidiare una vita che in realtà non esiste.
Nel momento in cui il sesso si rivela un fiasco e la popolarità un valore quanto mai evanescente e doloroso, Devi e le sue amiche danno il meglio di se stesse grazie alle impervie esistenziali che si trovano a fronteggiare, in primis quelle familiari.
Allo stesso modo, gli sceneggiatori non riescono ad adottare soluzioni peculiari in per la serie in questione relativamente ai modi attraverso cui i genitori tentano di fronteggiare queste difficoltà .
La gamma di risposte è ristretta e già sdoganata: atteggiamenti repressivi verso una situazione che appare ingestibile, senso di colpa da abbandono celato attraverso fastosi regali ed ampie concessioni, fuga dai figli per un senso di incompletezza interiore da colmare altrove.
La nota di merito su questo terreno è da ascriversi al costante e progressivo disvelamento del trauma alla base dei comportamenti di Devi. L’assenza-presenza del padre scomparso accompagna per mano la protagonista nei nodi cruciali della sua crescita, attraverso trovate interessanti come il simbolismo animale o la catarsi realizzata attraverso le corde di un’arpa tanto speciale, quanto emblema di un dolore tangibile.
La cultura e la società americana viste attraverso occhi orientali
Il vero motivo per cui, forse, vale la pena dare una chance a questa serie risiede nella prospettiva d’inquadramento degli eventi e dei personaggi. Rispetto agli altri teen drama, Non ho mai è costruita su una prospettiva culturale non occidentale, bensì orientale e indiana nella fattispecie. La cultura americana e quella indiana vengono così continuamente messe a confronto, attraverso i diversi esempi portati in scena da Devi, Kamala e Nalini.
Su un fronte abbiamo proprio la madre di Devi e zia di Kamala, pura rappresentante della cultura d’origine trapiantata negli Usa e severa osservatrice della società statunitense.
Nalini si fa emblema del carattere più tradizionalista del modus vivendi indiano, legato ad una stretta osservanza della propria religione e dei suoi riti, ad una concezione mortificante della figura femminile, a una mentalità estremante concreta e pragmatica e a delle restrizioni oppressive contro l’edonismo sessuale occidentale.
Dall’altro lato troviamo Kamala e Devi. La prima è un perfetto punto d’incontro fra le due istanze culturali, legata per pudore e rispetto ai dettami della propria cultura e della famiglia, ma desiderosa di emanciparsi e affermarsi in un mondo che le si apre davanti agli occhi quotidianamente, grazie alle gesta della cugina. Dapprima ingenua e meravigliata al cospetto di quelle che appaiono come banalità quotidiane agli occidentali, Kamala riesce a trovare una sua strada, un perfetto compromesso tra la terra natia e quella in cui vuole realizzare i suoi sogni.
Infine abbiamo proprio Devi, che simboleggia un’adesione totale alla cultura americana e ai suoi modelli. Ogni discorso della brillante studentessa è infarcito di riferimenti alle icone pop targate Stati Uniti d’America: si passa da classici seriali come How I Met Your Mother e The Big Bang Theory, a registi come Paul Thomas Anderson, a modelle e rapper famosi come Bella Hadid e 2 Chainz. Questi modelli non si limitano ad avere un valore puramente nominalistico, ma rappresentano i valori che Devi vorrebbe permeassero la propria vita, quella che sogna a dispetto del volere della madre e dei traumi che l’hanno inevitabilmente segnata.
Vista la conclusione maturata nell’ultimo, toccante episodio della serie, è lecito pensare che la storia di Devi possa avere ancora qualcosa da dire, soprattutto per il successo commerciale ottenuto sul mercato orientale. E voi che ne pensate?
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