Boris è una serie tv che si pone tra la finzione che racconta e quella che incarna nella realtà , andando a giocare, seppur indirettamente, con il tema del doppio. Un prodotto che utilizza il medesimo spazio scenico, ovvero quello di uno studio di registrazione, sia per la storia che narra e sia per come la mette in scena. Due registi, due direttori della fotografia e molteplici figure doppie condividono quindi lo stesso ambiente, spesso mescolandosi tra loro, creando così un simpatico contrasto tra quel che la serie mette in gioco e quel che è egli stessa.
Uno specchio che non riflette solo i fenomeni sociologici e lavorativi di cui Boris tratta, sempre attraverso esasperazioni, ma anche quelli che gli hanno permesso di arrivare sui teleschermi. In svariate sequenze, ad esempio, è possibile notare all’interno di certe inquadrature alcuni membri della vera troupe, che si mescolano perfettamente con le loro controparti, dando vita ad alcuni contrasti tra ciò che è vero e ciò che percepiamo come falso.
I personaggi sono in assoluto uno dei punti forza di Boris. Maschere tragicomiche che raccontano tante piccole realtà quotidiane, destinate a scontrarsi per le innumerevoli divergenze di visione che possiedono. Interessi e sensibilità opposti che danno origine a gag che cercano di trovare un senso che possa giustificare quel che le fiction italiane son sempre state. Una ricerca verso una sorta di scusante che spesso trova il suo compimento proprio nei protagonisti che Boris propina, costantemente al limite tra l’umano e la macchietta. Esasperati, grotteschi e sopra le righe, ma pur sempre legati ad una drammaticità latente e mai del tutto esplicita, che non gli permette di perdere quella credibilità necessaria per restare in vita sullo schermo.