Un brano per dare voce ai lavoratori del mondo dello spettacolo.
Il Coronavirus e il conseguente lockdown hanno portato a rinviare un numero enorme di concerti e tour in tutto il mondo. E molti di noi hanno visto tutti i giorni segnati sul calendario come “concerto *inserire nome artista*” programmati da mesi svanire ed essere posticipati a chissà quando. All’orizzonte si presenta la proposta dei concerti drive-in, che al momento ha ricevuto adesioni ma non conferme che possano farci segnare un’altra data sul calendario e attendere speranzosi. La crisi ha tagliato le gambe a molti artisti e soprattutto a tutti i lavoratori nell’ombra del mondo dello spettacolo: tecnici, elettricisti, backliner, fonici, le figure che lavorano giorni per permettere agli artisti di incantarci in due ore di concerto. Ed è dedicato a loro il brano dei Lost in the desert.
Lost in the desert è un collettivo formato da alcune delle punte di diamante della musica italiana: Rancore, Daniele Silvestri, Venerus e Mace, insieme a Rodrigo D’Erasmo al violino, Fabio Rondanini alla batteria, Gabriele Lazzarotti al basso; e con loro anche la cantautrice americana Joan As A Police Woman. Unendo le teste e gli strumenti, è venuto fuori un bellissimo brano: si chiama anch’esso Lost in the desert, uscito il 12 maggio e distribuito da Sony Music Italy.
“Questa vita è come una radio, e che musica capita non so”
Tutti i proventi degli stream saranno devoluti al COVID-19 Music Relief: l’iniziativa organizzata da Spotify per finanziare le organizzazioni nazionali a sostegno dei lavoratori nel mondo dello spettacolo. Prodotto e pensato con cura, Lost in the desert non è un brano composto per macinare stream. La delicata armonia è arricchita da un numero impressionante di strumenti; una piccola dimostrazione del fatto che, come afferma Daniele Silvestri nel brano, “Condividere è come vivere di più”. Non vuole solo raccogliere soldi da devolvere a chi lavora nei backstage; vuole dare loro la voce che non hanno. Dedicare ai tecnici qualcosa di più di un ringraziamento a fine concerto, che spesso suona retorico e invece non lo è.