Andreotti: l’abum d’esordio 1972 e gli anni che ritornano [RECENSIONE]

Recensione di 1972, album di esordio di Andreotti
Andreotti
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1972 e un personaggio decisamente conosciuto.

Se non avete mai ascoltato un concerto nella penombra di un club underground gestito da irriducibili tossici punk con un pubblico di 30 persone e bevendo un cocktail annacquato forse non avrete il giusto impatto con Andreotti. Perché ascoltando 1972 è stata quella l’impressione che ci è venuta in mente, e avremmo voluto viverla davvero. Andreotti potrebbe dare l’impressione di quel cantante un po’ outsider che si esibisce davanti a tanta gente che si trova lì un po’ per caso e che alla fine della serata si ritrova con in tasca 50€ e un gin-tonic in mano. E forse dopo tanta gavetta, tante serate e tanti club (e tanti gin-tonic) ha esordito con un album tutto suo, appunto 1972. Al di là dell’immaginario, Andreotti riesce a donare veridicità alla sua opera, ecco perché:

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Andreotti è l’ennesimo cantautore indie-pop della scena musicale italiana, o forse indie-punk, con la sua voce ruvidissima e grezza che, più che cantata, è urlata. Il suo canto e i suoi testi sono segnati da una certa irriverenza, la stessa che contraddistingue un’intera generazione di cantanti indie. E proprio per questo (forse) smette di essere irriverenza. Ma allora cosa rimane? L’autenticità. L’autenticità di un ragazzo, classe ’93, che fa musica e si esibisce nei club per 50€ perché è l’unica cosa che sa fare. E nei testi e nelle musiche, oltre alle immagini iperboliche del suo vissuto, riecheggiano anche anni e anni di ascolto e influenze musicali. Ecco allora che in 1972 si fondono in un sound dream-pop sonorità provenienti da Iosonouncane al rock graffiato de I Ministri. E non solo, perché le influenze arrivano anche dal passato, con chiari omaggi a Lucio Dalla o i Litfiba.

Lo pseudonichilismo di 1972

Influenze che trovano un equilibrio precario in Andreotti. Quello di 1972 è un sound che a volte vuole essere fin troppo sfacciatamente vintage, che a volte sembra fare a pugni con la voce di Andreotti. E appunto quello che viene a crearsi è un equilibrio precario, un ibrido da far storcere il naso ma che ascolteresti volentieri nella penombra di un club con un cocktail annacquato in mano. Perché forse questo è l’ambiente adatto per dare il giusto e più degno spazio alla musica caustica di Andreotti. 1972 è un album dal quale emerge il personaggio di un weird outsider con il volto coperto da una maschera di Andreotti (Giulio) e tanta voglia di fare musica. Tra testi pseudonichilisti che vogliono richiamare immagini schizofreniche intonati con un atteggiamento quasi bukowskiano.

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