Viaggio nella CGI | Storia di una rivoluzione tra odi et amo
L'uso dei sistemi di computer grafica hanno drasticamente cambiato le modalità e le possibilità di fare cinema, modificando gli assetti dell'industria e l'identità del cinema stesso.
Viaggio nella CGI, prima tappa:L’avvento del digitale
Nessuno dei cambiamenti ha inciso tanto sul cinema, e tanto profondamente, come l’avvento del digitale. Già Lev Manovich notava come l’uso di programmi computerizzati consenta la realizzazione di intere sequenze senza l’apporto della ripresa dal vivo. La produzione di immagini in pixels evidenzia la distinzione tra la fotografia analogica e quella digitale. L’immagine analogica diventa una sorta di materiale grezzo che può essere lavorato ulteriormente in un processo di manipolazione. In quest’ottica, nel cinema contemporaneo viene meno l’aspetto realistico e di documentazione del mondo tangibile, tornando ad una condizione quasi pre-cinematografica. Vengono ripristinate così le connessioni con la pittura, determinando una rivalutazione della macchina da presa, intesa da Manovich come pennello cinematografico. Di fatto, la macchina come pennello e lo schermo come tela potrebbe essere il primo paragone che verrebbe in mente guardando Waking Life di Linklater. Il regista americano usa un Rotoscope digitale, fornendo al film un’aurea pittorica.
Cinema e realtà
Viene meno quel legame indissolubile tra il cinema e la realtà, come affermava Bazin, insomma tra il reale filmabile e l’immagine filmica. L’uso della computer grafica consente la creazione virtuale dal nulla di corpi e luoghi che non esistono necessariamente nella realtà. La realtà tangibile viene manipolata dalle nuove tecniche che intaccano sia la fase di produzione che quella di post-produzione.
Così il cinema contemporaneo sembra riappropriarsi di una dimensione fantasmagorica, grazie alle proprietà malleabili ed elastiche dell’immagine sintetica. Queste proprietà conferiscono al cinema una qualità di realismo tale da indurre sensazioni di stupore e meraviglia nello spettatore, seppure consapevole dell’artificiosità. L’immagine digitale, nonostante la propria intangibile irrealtà, diventa fondamentale per l’evoluzione cinematografica e la conquista di una nuova dimensione del filmabile. Ciò consente da un lato di creare corpi che non hanno legami con il reale e dall’altro di semplificare il processo produttivo espandendo i confini della creatività artistica.
Creata dalla computer grafica l’immagine sintetica perde quell’aura di oggettività esistenziale capace di ritrarre la realtà e prescindibile da essa è in grado di esistere autonomamente come metaimmagine. Ciò comporta un’inversione della relazione tra spettatore e lo spettacolo, poiché viene meno il filtro della telecamera che inquadra e riprende la realtà materiale. Il cinema contemporaneo è proiettato in un mondo del tutto nuovo, costruito su possibilità di produzione e riproduzione senza precedenti in cui tutto appare possibile e realizzabile. Dal canto suo lo spettatore si ritrova in un panorama cinematografico che ruota attorno ad un’ulteriore interazione con lo schermo, tale da offrire enormi stimoli visivo-percettivi. Lo spettatore contemporaneo si ritrova in una posizione non più di visione passiva, ma guarda al cinema in maniera immersiva capace di modificare a sua volta la visione con l’immaginazione. È il caso del cinema 3D, in cui le immagini sembrano fuoriuscire dallo schermo.
Tra le altre cose l’immagine virtuale è determinata da un diverso grado di credibilità, a causa del cambiamento operato sul linguaggio cinematografico, capace di enfatizzare la natura illusoria e artificiale del cinema. La scissione tra la realtà filmabile e la virtualità filmata ha comportato uno sconvolgimento culturale riguardo le possibilità stesse di fare cinema. Tanto da creare nuove modalità di percezione che forniscono allo spettatore una nuova esperienza di cinema.
Secondo Buccheri si instaura un nuovo legame comunicativo tra il cinema e il pubblico che privilegia la dimensione percettiva, a seguito del nuovo peso dell’immagine. Le potenzialità offerte dall’uso della CGI (e dalle sue declinazioni come la Motion Capture) permettono di incrementare la spettacolarizzazione, intensificando il senso di stupore del pubblico, affascinato da una realtà inventata. Già nel 1993 Spielberg aprì la strada alla CGI nel cinema con Jurassic Park. Il film suscitò un enorme scalpore nel pubblico atterrito da quei dinosauri che sembravano così reali, grazie soprattutto ad un sapiente mix tra computer grafica e analogico.
Il cinema contemporaneo vive più che mai sulla propria pelle le enormi possibilità offerte dall’avvento del digitale. L’uso della computer grafica cambia radicalmente gli assetti dell’industria, espandendo le possibilità del racconto e mutandone i meccanismi di lavoro, nel bene e nel male. Ma se da un lato vengono sprigionate le potenzialità enormi della fantasia degli autori dall’altro si rischia di limitare un’intera filiera.
La CGI nel cinema permette di ricreare persino visi e corpi di attori minacciando di rendere obsolete pratiche e ruoli tradizionali. Un’intera industria culturale e produttiva ha quindi dovuto confrontarsi con queste trasformazioni, a volte volutamente introdotte per profitto. Basti pensare alle soluzioni, di gusto discutibile, messe in atto da produttori e registi, come ad esempio la “resurrezione” di Peter Cushing inRogue One: A Star Wars Story. O ancora l’eliminazione virtuale dei baffi di Henry Cavill inJustice League, impegnato nelle riprese di Mission: Impossible – Fall Out.
L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica, per richiamare Walter Benjamin, è indubbiamente legata ai progressi e alle innovazioni tecnologiche. E dopo più di cento anni di storia il cinema porta sulla propria pelle i segni delle trasformazioni subite, e che continua a subire. La rivoluzione digitale ha intaccato l’identità stessa del cinema, ridefinendo le caratteristiche basilari dell’immagine e interferendo con il rapporto che lo spettatore intrattiene con lo spettacolo. Ma il digitale non ha segnato un punto di rottura con la tradizione, quanto un punto di transizione all’interno del continuum cinematografico. Il passaggio dalla pellicola al digitale rappresenta un cambiamento radicale per la forma, la proiezione e la ricezione del cinema. Già Jon Lewis aveva compreso la portata di questo cambiamento, che non ha modificato una delle caratteristiche basilari del cinema, cioè la volontà di raggiungere un livello di realismo fotografico.