Better Call Saul è ormai giunta alla quinta e penultima stagione. Dieci episodi su Netflix che hanno confermato ancora una volta la grandezza di questo spin-off di Breaking Bad.
Cast
Bob Odenkirk: Jimmy McGill / Saul Goodman
Jonathan Banks: Mike Ehrmantraut
Rhea Seehorn: Kim Wexler
Patrick Fabian: Howard Hamlin
Michael Mando: Nacho Varga
Michael McKean: Chuck McGill
Giancarlo Esposito: Gus Fring
Tony Dalton: Lalo Salamanca
Trama
Jimmy McGill ha finalmente ultimato la sua trasformazione in Saul Goodman. In questa quinta stagione vediamo il nuovo alter ego dell’avvocato muovere i primi passi verso ciò che sarà in Breaking Bad, tra gli “amici” del cartello e il rapporto con Kim.
Trailer
Better Call Saul 5: Recensione
ATTENZIONE SPOILER!
Better Call Saul ci ha stregati, ancora una volta. Fin dalla terza stagione, il sentore che Gilligan e Gould potessero bissare quanto fatto con Breaking Bad è diventato via via sempre più forte ed ingombrante. Se la quarta stagione ha rappresentato una prova quasi ineludibile del fatto che ci trovassimo davanti a un prodotto che non ha nulla da invidiare alla serie madre, il quinto ciclo di episodi è la conferma definitiva del livello assoluto al quale lo spin-off è riuscito ad approdare. Nonostante la convergenza temporale con l’universo di BrBa sia sempre più prossima, Better Call Saul non è mai stata così indipendente dall’auctoritas delle vicende di Walter White & Co., in virtù della grandezza alla quale è approdata, perseguendo con coraggio le proprie peculiarità e punti di forza.
L’importanza dell’arte della finzione
La messinscena è tutto, potremmo dire l’unica realtà che conta davvero. Quest’assunto permea tanto Breaking Bad quanto Better Call Saul, nell’evoluzione delle vicende e delle vorticose vite dei personaggi costretti a celare la reale identità alla base delle proprie vite. Tuttavia quest’aspetto assume un’importanza capitale nello svolgimento di questa stagione. Sin dai primi episodi, vediamo come Saul decida consapevolmente di gridare ad alta voce la sua trasformazione da Jimmy McGill in Saul Goodman, cambiando per questo motivo il proprio modo di vestire e di comunicare, soprattutto nei riguardi dei propri clienti.
Questo processo giunge alla sua sua massima esemplificazione nel sesto episodio, durante il quale Il secondo miglior avvocato del mondo monta ad arte un intero spot pubblicitario, con il quale parla all’aspetto più emotivo e irrazionale del pubblico che potrebbe assistervi, pur di riuscire a distruggere ogni briciolo della ferrea credibilità di Kevin Wachtell. Saul manipola continuamente da cima a fondo ogni aspetto della realtà, spacciando la propria verità come unico mondo possibile. Questo ha delle continue ripercussioni sulla propria vita e su quelle di tutti coloro che orbitano intorno a lui.
Tuttavia il discorso sull’importanza della finzione e della messinscena non riguarda soltanto il nostro machiavellico avvocato, anzi. Gustavo Fring si dimostra un vero e proprio maestro nel creare ad hoc una realtà fittizia, pur di perseguire i propri fini. Los negocios son los negocios, afferma il misterioso uomo cileno, esprimendo appieno il fulcro della sua mentalità e di quella del cartello che vuole detronizzare.
Per conseguire i propri intenti a lungo termine, un uomo fiero ed orgoglioso come Gus Fring accetta di buon grado i vari sabotaggi messi in atto da Lalo e dalla famiglia Salamanca, confezionando una silenziosa trappola per topi destinata a scattare fragorosamente, forse in maniera eccessivamente hollywoodiana, nel finale di stagione. Gustavo perde i propri uomini, distrugge con le sue mani uno dei punti vendita Los Pollos Hermanos, la catena messa in piedi con tanto sudore e sangue. Questi elementi costituiscono una cristallina testimonianza della lungimiranza e della tenacia, grazie alle quali sarà proprio Fring a vincere questa guerra.
Nonostante la realtà possa essere frutto di continua distorsione attraverso inganni e bugie, tuttavia le scelte che compiamo ogni giorno ci mettono su una strada che porta ineluttabilmente all’unica destinazione possibile. E’ questo il cuore delle parole con le quali Mike spiega a Saul il senso di ogni cosa accaduta fino a quel momento. Alla fine dei giochi, ognuno si trova a dover giocare le carte che, in maniera quasi fatalistica, il destino ci mette in mano. E le vicende di quest’ultima stagione non fanno altro che dare forma e sostanza a questa visione della vita.
Saul si è ormai affermato definitivamente su Jimmy. Il fratello minore del compianto Chuck si sente sempre più padrone di se stesso ed è disposto a sacrificare ogni cosa pur di portar avanti la propria visione. Si spiega così il cambiamento del suo motto da Justice matters most a Just make money, una frase che rende perfettamente l’abbrutimento morale al quale Goodman è andato progressivamente incontro, accatastando scelte su scelte. Slippin’ Jimmy si è ormai trasformato in quell’entità disturbante di cui vediamo il riflesso alla fine della settima puntata, prima che Saul capovolga totalmente il rapporto di dominante-dominato che, fino a quel momento, lo aveva visto in svantaggio rispetto ad Howard, rivendicando così la sua mutata natura.
L’acmè di questo processo decisionale avviene proprio nel deserto, all’interno di una delle vette più alte toccate dall’intera serie e dall’universo di Breaking Bad. L’antieroe della storia prende coscienza del peso delle sue scelte e delle sue azioni, approdando a ulteriori punti di non ritorno. Saul si macchia di sangue per la prima volta e ad un’iniziale fase di rifiuto rispetto a quanto accaduto, nel momento della verità, afferra con ferocia la propria vita e la consegna al suo destino. Beve così senza rimorsi quella pipì, che sarà incessantemente citata nel concitato dialogo con Lalo, a testimonianza della sua ferma volontà di essere un amico del cartello.
Discorso assolutamente analogo non può che riguardare Mike. La morte di Werner Ziegler ha gettato Mike in un profondo sconforto, che lo ha condotto a un totale deragliamento emotivo, fatto di atti lesivi verso se stesso e verso capri espiatori che sperava colmassero il tormento derivante dall’omicidio di un brav’uomo. E’ così che il buon nonno di famiglia e infallibile sicario si trova costretto a ripensare alla propria vita e a ciò che la rende meritevole d’esser vissuta.
In seguito a un lungo peregrinare interno, proprio in quel deserto che continua ad essere teatro di eventi decisivi in BCS così come in BrBa, attorniato da una natura spoglia e deperita, Mike ci rende finalmente partecipi delle cause che lo spingono a giocare le carte che gli sono state affidate. Lui ha delle persone da proteggere e che ripongono affetto e speranza nella sua figura. Non importa cosa lui sia costretto a fare, conta solo che Kaylee e sua madre abbiano ciò che serve.
E che dire di Ignacio,Nacho Varga? La sua è stata una crescita lenta, ma esponenziale. Nacho simboleggia uno dei personaggi maggiormente tragici nelle vicende di Better Call Saul, poiché a causa delle sue scelte originarie, si trova inevitabilmente compromesso ed esposto fra due fuochi. Quest’ultimo elemento, congiunto all’approccio quasi paternalistico di Mike nei suoi confronti, rende Nacho sempre più simile a un Jesse Pinkman dalle fattezze latine.
Nonostante il crescente desiderio di cambiar vita e tirarsi fuori da logiche ormai insostenibili per proteggere il padre, Ignacio si trova ostaggio di un’esistenza che lo tormenta e lo rende schiavo di desideri che ormai sembrano così lontani nel tempo, ma possono riaffiorare improvvisamente, come accade proprio nel dialogo con Don Eladio. Nacho, tuttavia, rimane un’anima potenzialmente buona come lo è quella di Jesse, e il paragone viene ulteriormente rafforzato, per esempio, dalla comune volontà di non coinvolgere innocenti nelle sanguinose vicende in cui entrambi si trovano fatalmente invischiati.
La quarta e la quinta stagione di Better Call Saul si concludono in maniera perfettamente simmetrica, se messe a confronto fra loro. Alla fine del precedente ciclo di episodi Kim mostrava di essere palesemente turbata dalla trasformazione di Jimmy in Saul e, in maniera speculare, l’ultima espressione di Goodman che vediamo nell’episodio conclusivo di questa quinta stagione è un’espressione fortemente preoccupata per il cambiamento messo in atto dall’avvocato Wexler. Ma come siamo giunti a questo radicale ribaltamento di fronte?
Nei primi episodi di questa parte quinta dell’opera di Gilligan, Kim appare visibilmente contrariata dai metodi di colui che ormai si fa chiamare Saul Goodman. La contrapposizione sembra essere sempre più evidente, poiché Kim rappresenta il puro valore della legge, intransigente a qualsiasi prezzo. Tuttavia, nonostante queste frizioni crescenti, la donna rimane sempre legata da una profonda condivisione a colui che di lì a poco diventerà suo marito. E’ in tal modo che la figura di Saul diventa pian piano sempre più dominante, fino al sesto episodio, in cui lo scontro diventa totale.
Quando ci aspetteremmo che Kim possa così prendere una strada opposta a quella del compagno, ecco che i due si sposano. Questo matrimonio simboleggia molto più che un semplice vincolo civile e amoroso, poiché è con questo gesto che l’avvocato Wexler, ormai conscia di non poter salvare Saul da se stesso, decide di invischiarsi pienamente in quella melma fatta di inganni, malaffare e ingiustizie che tanto aveva biasimato e criticato. Il suo è un gesto di amore incondizionato e di comprensione totale verso un uomo che non è più quello conosciuto un tempo, il quale, a sua volta, sembra non riconoscere più la donna che lo ha tenuto a galla nei momenti più bui della sua vita.
La grandezza nei particolari
In definitiva possiamo affermare senza remore che questi dieci episodi rappresentino uno dei punti più alti all’interno dell’universo ideato da Vince Gilligan. Oltre alla pregevolezza della sceneggiatura e dei soggetti di serie, ciò che impreziosisce questa stagione è la maturità registica e la cura dei dettagli.
Intendiamoci, queste qualità hanno costantemente contraddistinto l’operato dei creatori dell’universo e permeato le vicende messe in scena. Tuttavia ciò che colpisce di questi dieci episodi è la maturità raggiunta dal regista e dai suoi collaboratori nel trasmettere messaggi focali, attraverso oggetti, suoni, animali via via sempre più ricercati. Un gelato può diventare un simbolo di consunzione umana, così come un’arancia ha il potere di ricordare i fiotti di sangue sparsi nel deserto del New Mexico.
Questa cura maniacale e geniale delle piccole cose è particolarmente interessante in relazione al progressivo avvicinamento di BCS a Breaking Bad. Scaglionati nei vari episodi, sono diversi gli indizi disseminati che ci fanno percepire quest’imminente collisione. Il suono della chitarra, nel sesto episodio, costituisce un ineludibile richiamo all’ontologica sigla della serie madre, così come il tappo di Zafiro Añejo nel cassetto all’interno dello studio di Kim ci riporta inevitabilmente all’episodio di BrBa in cui Gus azzera il cartello.
Non ci resta che attendere la sesta ed ultima stagione per assistere, verosimilmente, all’incontro-scontro, fra due serie che costituiscono un unico, incredibile mondo sempre capace di superare se stesso. Grazie Vince.