Recensione di Piramidi, l’ultima fatica in solitaria di Germanò.
Con Piramidi Germanò ha trovato il ritmo che cercava nell’album precedente, il suo primo. O meglio, Alex il ritmo lo aveva già trovato con il suo esordio e con il secondo album, prodotto da Bomba Dischi e Universal, lo conferma. Il cantante romano dimostra che non sempre è necessario trasformarsi ed evolversi, perché Piramidi è un disco coerente rispetto al precedente, e in questo trova forse il suo aspetto migliore. Per spiegarci meglio, Germanò porta avanti un lavoro iniziato già in Per cercare il ritmo, ora alla luce di una prospettiva diversa, nuova. Il trasferimento a Milano ha segnato, probabilmente, l’inizio di un nuovo capitolo nella vita del cantautore, con nuove conoscenze, nuove esperienze e nuove esigenze. Se negli ambienti romani Germanò aveva avuto il supporto di una band per il suo primo album, che inevitabilmente aveva influito sul risultato, a Milano invece si è ritrovato a lavorare da solo.
E così Germanò ha composto interamente Piramidi nella solitudine del suo nuovo appartamento, non più con una band in studio ma al computer. Proprio per questo è evidente, rispetto al lavoro precedente, un atmosfera più elettronica e campionata, richiamando l’influenza di Battiato nelle sonorità. Si avvertono anche gli echi di una dimensione funk alla Phoenix. Ma, seppure si possano trovare elementi nuovi in Piramidi, l’album, come abbiamo già detto, è un lavoro continuo sulla falsariga di Per cercare il ritmo. Ora però Germanò tenta semplicemente di risaltare lo stesso ritmo, invertendo gli elementi, ricombinandoli per avere un prodotto nuovo, eppure sempre uguale. Così anche Piramidi è un disco intimo che attraverso i testi racconta la nuova vita di Alex, delle sue serate, delle persone incontrate e quelle amate. Ma il filo conduttore che unisce tutti i brani è un vago senso di solitudine, forse proprio perché scritti nell’isolamento della sua stanza.