Uscito nelle sale nel 1998, La Gabbianella e il Gatto è quel genere di film che non ha bisogno di presentazioni, perché ha avuto il merito di accompagnare una generazione durante gli anni dell’infanzia.
Tratto dal romanzo di Luis SepúlvedaStoria di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, il film d’animazione porta la firma registica di Enzo D’Alò. Un nome non del tutto estraneo al mondo dei lungometraggi animati, visto che due anni prima aveva firmato anche la trasposizione de La Freccia Azzurra.
La Gabbianella e il Gatto: la trama
Al largo della costa di Amburgo, dopo un incidente che ha portato il mare a riempirsi dei toni oliosi del petrolio, una gabbianella usa le poche forze rimaste per arrivare fino alla terra ferma, nonostante il petrolio abbia rischiato di tenerla bloccata in mare.
Allo stremo e piena preoccupazioni, la gabbianella di nome Kengah riesce ad arrivare a un giardino dove vive Zorba, un gatto che, insieme ai suoi amici, ha una faida aperta con un gruppo di topi.
Kengah, che porta in grembo l’uovo che contiene il figlio, sa di essere ormai a un passo dalla morte. Per questo, nella completa disperazione, riesce a strappare al gatto tre promesse: non dovrà cibarsi dell’uovo, dovrà prendersi cura del nascituro e, cosa più importante di tutti, dovrà insegnargli a volare.
Così quando l’uovo si schiude e una gabbianella si affaccia per la prima volta al mondo, dopo essere stata covata dal gatto, Zorba si domanda come potrà fare a insegnare alla gabbianella di nome Fortunata a volare, per mantenere il giuramento fatto alla defunta madre.
La Gabbianella e il Gatto: storia d’amicizia e diversità
Se c’è qualcosa che possa dare ampiamente la sensazione di trovarsi in presenza di un classico è l’incontrovertibile capacità di resistere agli attacchi del tempo.
I gusti e le mode sono creature effimere, che mutano come le proverbiali stagioni: ma ci sono storie che non invecchiano, che non escono mai dal quadro generale. La Gabbianella e il Gatto rientra in questa forma di affabulazione.
Nonostante sia uscito al cinema più di venti anni fa, il film di Enzo D’Alò è ancora così capace di parlare e commuovere da essere addirittura tornato al cinema, sul grande schermo per il quale era stato pensato.
Questo perché La Gabbianella e il Gatto, pur con la sua animazione diretta e semplice, è sempre stato in grado di parlare di un tema universale come quello dell’amicizia.
Il sentimento che la pellicola mette in scena, infatti, è di quelli assoluti che si poggiano sugli “a priscindere”. Si vuol bene a qualcuno a “prescindere”, “nonostante”, attraverso gli “eppure”.
Zorba è un gatto e di solito i gatti si cibano degli uccelli sfortunati: eppure lo vediamo prendere a cuore un uovo che non è niente, se non una promessa da mantenere. Non sa come insegnare a Fifi a volare, ma nonostante questo cercherà in ogni modo di insegnarle a lasciarsi andare, a librarsi oltre il confine delle nuvole, abbracciando la sua natura.
Quella natura che la rende tanto differente da Zorba. Ed ecco il secondo grande tema di questo classico già senza tempo: la diversità e, soprattutto, la sua accettazione.
Zorba, i suoi amici, Fortunata e persino l’umano Poeta che li aiuterà a capire come comportarsi vengono tutti da mondi diversi. Appartengono a sfere che sembravano essere pensate per non incontrarsi.
Ma se in natura e, soprattutto, la società continuano a vedere la diversità come un muro che divide, La Gabbianella e il Gatto ci ricorda come essa possa essere un arricchimento.
Si tratta di un film che fa della sua semplicità il proprio marchio di fabbrica e così facendo arriva direttamente al cuore degli spettatori: non solo quelli più piccoli a cui il film è chiaramente dedicato, ma anche a quegli adulti che hanno dimenticato di saper volare.
Un cast d’eccezione
Naturalmente, trattandosi di un film d’animazione, La Gabbianella e il Gatto è una pellicola che ha potuto irretire gli spettatori più grandi anche grazie al cast scelto per dare voce e anima a questi personaggi bidimensionali pieni di bellezza.
Zorba è doppiato da un Carlo Verdone che si trova a fronteggiare il Grande Topo, villain che appartiene alla sfera dell’archetipo quasi, che ha invece la voce riconoscibilissima di Antonio Albanese.
Lo stesso autore del libro da cui il film è tratto, Luis Sepúlveda, morto di coronavirus, ha prestato la sua voce per il personaggio del Poeta: una creatura fatta di parole e sospiri, di ingegnosità immaginifica e spirito di osservazione che sembra sposarsi molto bene con l’immagine del noto scrittore cileno.
Fortunata, invece, ha tre diverse doppiatrici: la prima è Veronica Puccio, che la doppia in età infantile e la cui voce è conosciuta anche per essere quella di Disgusto in Inside Out.
Quando, però, Fortunata è alle prese con l’adolescenza, la sua voce è quella di Domitilla d’Amico, la Tiana de La Principessa e il Ranocchio. Infine quando Fortunata canta, la voce che lo spettatore sente è quella di Leda Battisti.
Per quanto riguarda la musica, invece, fu Ivana Spagna ad interpretare il brano principale della colonna sonora, dal titolo So Volare, che bene rispecchiava la natura del film: Non ha barriere più;e tutto questo, amici miei,io lo devo solo a voi.
La Gabbianella e il Gatto, dal libro al film
La Gabbianella e il Gatto è un film che parla di rendere possibile ciò che rendiamo impossibile: Sii il primo gatto volante della storia, viene detto all’interno della pellicola. Come a voler sottolineare la fusione tra due mondi diversi: perché Fortunata è cresciuta dai gatti, si sente una di loro, ma in realtà è qualcos’altro.
Qualcosa che deve scoprire da sola: pur con la guida di Zorba, del Poeta e di tutti coloro che le si muovo intorno, è Fortunata stessa a dover capire come muoversi nella sua stessa vita.
Si potrebbe dunque definire questa storia come una costola di quei bildungsroman che pongono l’accento proprio sull’atto di evolversi, di crescere, di cambiare per somigliare di più a chi si vuol essere.
Un tema questo che Luis Sepúlveda ha saputo tratteggiare con una poeticità e un’umanità davvero strabilianti in Storia di una gabbianella e del gatto che le insegno a volare.
Pubblicato nel 1996, il romanzo di Sepúlveda è forse il primo tassello di una produzione sempre volta alla ricerca della favola, alla capacità delle fiabe di raccontare quelle piccole cose che sfuggono nella vita quotidiana, ma che rappresentano il tesoro più prezioso.
Altri titoli dello scrittore cileno come Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà o Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico sottolineano l’interesse di Sepúlveda per temi universali come l’accettazione, la crescita, ma anche l’amicizia e la natura.
In questo senso il libro alla base de La Gabbianella e il Gatto rappresenta forse proprio quel motore trainante che riesce a esprimere molto chiaramente la visione di Sepúlveda. Perché sotto la trama apparentemente semplice si nasconde l’universo creativo dello scrittore cileno.
Quello fatto quasi da un desiderio onirico di plasmare la realtà nella sua forma migliore e, per questo, utopistica. Ed è proprio in questo che va ricercata la grande dote di Sepúlveda: riuscire ad essere evocativo, quasi lirico, pur senza scadere nel manierismo, senza rinunciare a quella comunicazione diretta coi suoi lettori.
Lo stile di Storia di una Gabbianella e del Gatto che le insegnò a volare si potrebbe descrivere semplice, essenziale, estremamente pulito. Eppure, allo stesso tempo, è uno stile fatto del sentore delle cose, della sensazione del vento addosso, dell’aria calda che giunge dal mare.
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