After Life 2 | Recensione in anteprima della serie tv di Ricky Gervais

Ricky Gervais è tornato con la seconda stagione di After Life, l'amatissima serie Netflix che conferma ancora una volta l'immenso talento del comico britannico

After Life, una scena della seconda stagione
After Life 2, Netflix
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Il 24 aprile esordirà su Netflix la seconda stagione di After Life, l’acclamatissima serie tv di e con Ricky Gervais, talentuoso e geniale comico britannico. Abbiamo avuto l’occasione di visionare le prime tre puntate di questo nuovo arco narrativo, ecco cosa ne pensiamo.

After Life 2: dove eravamo rimasti

Dopo il successo strepitoso della prima stagione, After Life 2 ci riporta nella vita di Tony, neo vedovo alle prese con un tortuoso e straziante percorso di elaborazione del lutto che lo ha tramutato in un uomo cinico e schietto pronto a mortificare chiunque gli si pari davanti. Alla fine del primo arco narrativo abbiamo visto Tony scendere a patti con la propria natura autodistruttiva in un tentativo di rinascita spirituale che lo porti verso una nuova fase della vita accettando le sofferenze della perdita e la difficoltà di convivere con una assenza che si fa sempre più difficile da sopportare. Il catalizzatore di questo impervio cambiamento è rappresentato dal prossimo, dall’altro. Tony cerca un riscatto, e la salvezza, attraverso un rinnovato rapporto con gli esseri umani imponendosi un atteggiamento più aperto verso la vita, ove la gentilezza e la comprensione sono le armi principali per la lotta contro il lato oscuro che è in ognuno di noi. Ovviamente, il tutto non accadrà con un semplice schiocco delle dita ma solo per mezzo di un faticoso lavoro interiore. E proprio questo ci mostra la seconda stagione della serie: un realistico e impervio percorso di catarsi.

Una seconda stagione nel segno della prima

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AfterLife 2, Netflix

La seconda stagione di After Life è il naturale proseguimento della prima. Non abbiamo sbalzi temporali significativi né cambiamenti netti, è come se Gervais avesse continuato a scrivere su una pagina rimasta a metà ripartendo dal punto esatto in cui aveva lasciato. Continua ad esserci, sostanzialmente, una trama accennata, il cui cardine resta il percorso di Tony, senza una focalizzazione ostinata sulle azioni dei personaggi che portino rigidamente da un punto A a un punto B.

Quello che conta in After Life è ciò che sta nel mezzo, le piccole e “snelle” sottotrame, ove la scrittura dei dialoghi è ben più importante dello svolgimento dei fatti. Non vi aspettate, quindi, complessi intrecci e sviluppi poiché la serie è semplicemente la descrizione dell’esistenza umana, che, come sappiamo tutti, è fatta di tempi dilatati in cui gli avvenimenti capitano ad un ritmo ben lontano da un tipico montaggio cinematografico. Basti pensare alla precisa routine che ogni puntata ci mostra: Tony si sveglia, guarda un video della moglie, dà da mangiare alla sua bellissima cagna Brandy, va al giornale in cui lavora, al cimitero, beve una bottiglia di vino la sera per trovare sollievo nei fumi dell’alcol. Tutto ciò devia solo per piccoli avvenimenti o per la presenza dei numerosi personaggi che ruotano attorno alla vita del protagonista. Il tutto procede lentamente, dolorosamente e con un’aura veracemente grottesca. Aspetto fondamentale è che si ride, tanto, di gusto, mescolando il tutto in un mix agrodolce che rispecchia perfettamente le nostre esistenze.

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After Life 2: Poca forma, molta sostanza

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After Life 2, Netflix

La messa in scena non ha nulla di artisticamente rilevante, sarebbe superfluo, quasi di intralcio al realismo di cui la serie è pregna. Poche inquadrature ispirate, nessuna fotografia elaborata. In fondo quando viviamo non ritroviamo l’arte nella realtà delle cose, il mondo è il mondo e la bellezza di cui spesso si riempie è intrinseca, non artificiosa, non c’è una artista ispirato che ci dice ecco ho fatto rosse foglie autunnali che cadono sulla testa di un bambino che guarda lontano, nella realtà le cose sono perché sono e così è in After Life, che della vita è un focus straziante e verace. Per quanto banale “l’essenziale è invisibile agli occhi” e anche una buona inquadratura o una scena artisticamente ispirata se c’è è perché è capitata per caso, per legge di spontaneità, come nell’esistenza di tutti i giorni.

Catarsi per Tony, catarsi per lo spettatore

After Life beneficia principalmente dell’intelligenza di Ricky Gervais, che più di un semplice comico è un pensatore a tutto tondo con una visione della vita originale, intuitiva e profonda. Gervais ha un’idea ben chiara di ciò che vuole dire, non tentenna, propone una prospettiva sì soggettiva ma che facilmente trasla su livelli più ampi che rasentano l’oggettività. Non bisogna dare per scontato un risultato del genere, è figlio di una mente eccezionale, che non cerca il proprio massimo compimento nel fattore artistico ma in quello psicologico, sociologico, filosofico ed emotivo.

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Rara è una tale riuscita di intenti, ancora più rara se pensiamo che è destinata ad un prodotto per l’intrattenimento presente su una piattaforma streaming ad ampio e vario consumo. Negli ultimi anni un miracolo del genere è successo solo un’altra volta, vale a dire nella splendida Fleabag di Phoebe Waller-Bridge, opera che ha molti punti in contatto con After Life e con cui condivide la solida immedesimazione tra opera e autore.

In tutto questo lo spettatore non può far altro che immergersi e, come in un gioco di specchi, guardare se stesso e gli altri in un necessaria prospettiva esterna che ci aiuta a individuare molti aspetti delle nostre vite senza le faticose catene del coinvolgimento reale, spesso nemico di una chiara visione del nostro percorso esistenziale.

After Life è commovente, estremamente commovente. E mentre sei lì a piangere, succede qualcosa che ti fa ridere, tanto. Ed è una piccola catarsi per lo spettatore che può, forse, sfogare un po’ di dolore guardando una episodio di una serie tv, perché gli aiuti non sai mai da dove arrivano e sono quasi sempre inaspettati.

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