Quarantena cinefila | Metacinema: quando un film racconta se stesso, ecco alcuni grandi titoli da recuperare

Film che parlano espressamente del cinema, delle sue forme e dei suoi motivi fondanti

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Il metacinema nel XXI secolo: Carax, Lynch, Scorsese, Almodóvar 

Holy Motors

Il nuovo secolo ha portato una serie di enormi sconvolgimenti sul cinema, i suoi significati, le forme di fruizione. Questo ha spinto ulteriormente molti cineasti a fare del metacinema per dare la propria personale risposta a ciò che sia il cinema oggi. Due esempi agli antipodi. Con il suo fiabesco Hugo Cabret Martin Scorsese torna alle origini del cinema. Riscoprendo l’opera di Georges Méliès, il maestro della New Hollywood firma una lettera d’amore senza tempo alla Settima Arte. Holy Motors di Leos Carax invece, interpretazione contemporanea dell’Uno, nessuno e centomila pirandelliano, tenta di estendere la finzione del cinema alla quotidianità dell’uomo. Complessa risposta al quesito su cosa resti oggi del cinema: se Hugo Cabret era una dichiarazione d’amore, Holy Motors è una sofferta, ma cerebrale, elegia.

Come fu per Allen, il metacinema sembra essere anche il momento prediletto da molti autori per riflettere sulla propria carriera e accomiatarsi dal cinema. È il caso ad esempio di Inland Empire di David Lynch, l’ultimo film del visionario regista americano. Una poliedrica moltiplicazione della vita di Nikki Grace attraverso il cinema e il teatro, ovvero di come la finzione filmica si sostituisca alla realtà e viceversa.

Ancora, di Pedro Almodóvar il recentissimo Dolor y Gloria. Tornando a visitare motivi già esplorati con La mala educacion, Almodóvar riscopre la magia del cinema e la sua capacità catartica. Spingendo la finzione del film nel film fino alla fine, dove cade il velo di Maya, Dolor y Gloria è un intenso racconto delle difficoltà di un regista a combattere con i propri fantasmi, a reagire alla fine incombente della propria carriera. In questo, l’alter-ego eletto da Almodóvar è un Antonio Banderas in una delle sue migliori performance.

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Dagli ultimi anni ci sono tanti altri esempi di metacinema

Sicuramente da citare lo stupefacente L’uomo che uccise Don Chischiotte di Terry Gilliam, che riscopre il capolavoro di Cervantes esasperando una delle sue caratteristiche peculiari. Il Don Chischiotte è meta-romanzo illo tempore: nella seconda parte infatti l’autore interviene a più riprese a commentare l’apocrifo seguito che Alonso Fernández de Avellaneda scrisse alla prima parte pubblicata nel 1605. Così Gilliam per un progetto pluridecennale trova un alter-ego perfetto in Adam Driver, che interpreta un regista alle prese proprio con l’adattamento del Don Chischiotte. Ma ancora, il cinema straborderà nella realtà, dando vita ad una delle opere più belle del Monty Python.

Proprio dallo scorso anno invece è necessario ricordare il film di Kore-eda ingiustamente passato in sordina, La verité, film d’apertura dell’ultima Mostra del Cinema di Venezia. Attraverso il metacinema Kore-eda riscopre il motivo fondante del suo cinema, la famiglia, ma sbarcando in Europa. Catherine Deneuve diventa quindi la diva in declino della quale indagare, attraverso il cinema, il complesso rapporto tra la vita e il set.

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E infine uno dei più grandi film sul cinema mai fatti, il capolavoro di Quentin Tarantino, C’era una volta a Hollywood. Due mondi che coesistono e riflettono il cinema e la sua storia. Una Hollywood dimenticata, riportata in vita con un’attenzione alla costruzione scenica e alle musiche inedita nel cinema di Tarantino. Per contrasto, il piccolo mondo di Rick Dalton, del suo doppio Cliff Booth e dell’inimmaginabile salvataggio della splendida Sharon Tate da parte degli emarginati dall’Olimpo del cinema. Su questo film un’analisi più approfondita era assolutamente necessaria, perché ogni sequenza snocciola un aspetto diverso dell’incanto della finzione filmica.

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