Iosonouncane | Recensione di DIE

Iosonouncane
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Un decennio di carriera per Iosonouncane

2010, Jacopo Incani, in arte Iosonouncane, sorprende tutti al suo geniale esordio. La macarena su Roma è un dissacrante affresco di una società messa a nudo nelle sue sottili e rovinose contraddizioni. Una perla rara nella scena del panorama indipendente, la prepotente imposizione della voce di uno dei cantautori più talentuosi della sua generazione.

2020, il 28 Marzo parte da Foligno un tour di sette date in cui Iosonouncane presenterà il suo nuovo lavoro IRA, l’attesa è trepidante, tutti i concerti sono sold-out. Il one-man-band del decennio si prepara a calcare nuovamente la scena con un lavoro che promette di ripetere lo straordinario successo del suo capolavoro.

No, la pandemia blocca tutto: Cannes, Olimpiadi, Europei e anche il tour di Jacopo Incani. La presentazione di IRA viene rimandata di qualche mese, il suo pubblico deve aspettare ancora, adeguarsi ai ritmi del Covid-19.

2020, il 30 marzo quel capolavoro compie cinque anni. Nel bel mezzo di un tour annullato spegne cinque candele quello splendido concept, la cui gestazione durò proprio un lustro. Il tempo necessario per slegarsi dalla scintillante ironia della Macarena e accumulare idee, forme, visioni. DIE è stato pubblicato precisamente cinque anni fa: inutile dire che non sia invecchiato di un giorno. Anzi, dopo cinque anni sembra il profetico precursore di tanti indirizzi dell’underground contemporaneo, e non solo.

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2015, DIE è la consacrazione di Iosonouncane

Con La Macarena su Roma Iosonouncane aveva già tracciato due strade ben precise. Da un lato continuare quel sentiero battuto dai tanti cantautori a cui per altro si ispira dichiaratamente. Dall’altro iniziare il suo pellegrinaggio all’interno del suo personalissimo universo sonoro: due dimensioni che coesistevano perfettamente nel fulminante esordio. Jacopo Incani si presentava così come un cantautore con una precisissima impronta autoriale.

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Con DIE prende il sopravvento quel mondo interiore, strabordando definitivamente e trasformando Jacopo Incani, uno tra i tanti, nel musicista probabilmente più completo della scena su cui si affaccia. DIE è caratterizzato infatti da una consapevolezza compositiva sconcertante, in cui Iosonouncane riesce a miscelare in un equilibrio irripetibile tante suggestioni musicali differenti, dal folk all’elettronica.

Tanca diventa così l’ouverture di una grande opera a programma. Un’evocazione tellurica dei brulli paesaggi sardi, un rituale vocalizzo gutturale accompagnato dal progressivo stratificarsi di percussioni tradizionali e suoni campionati. E quindi il graffiante ingresso del canto dell’uomo della Terra, che guarda da lontano quelle rive lontane straziate dal Sole a cui sente di appartenere inesorabilmente e che si svelerà leitmotiv di tutta l’opera.

Mare e Terra, Terra e Cielo. Uomo e Terra, Terra e Uomo. L’incipit di DIE è un monumento metafisico al rapporto tra un uomo e le sue radici, alla sua storia, che risuona in alcune scelte timbriche oltremodo raffinate. Nel disco infatti compare il contributo alla chitarra sarda preparata di Paolo Angeli, grandissimo musicista che impreziosisce la già densa trama sonora di DIE.

Dopo aver impostato le proprie coordinate, DIE sorprende con un trionfo di invenzioni musicali

Con Tanca abbiamo quindi una vera e propria dichiarazione programmatica, che incide la forma in maniera irreversibile. Come nei grandi poemi sinfonici, Jacopo Incani opta per una forma ciclica. Nessuna separazione tra i vari movimenti; i titoli diventano quasi didascalie di episodi indissolubilmente collegati l’uno con l’altro. Un continuum chiaroscurale in cui, come in qualsiasi forma ciclica che si rispetti, Iosonouncane elabora continuamente motivi melodici, ritmici, armonici.

Se Stormi, inno di una generazione indie, è il momento più solare del disco, non può che trovare il suo naturale complemento in Buio, che rappresenta musicalmente il momento più alto del disco, quasi un notturno in senso classico. Esasperando il principio della variazione-sviluppo con cui ha reso DIE coeso nella sua interezza, Buio diventa un grande tema con variazioni. Sull’arpeggio iniziale sull’accordo di settima maggiore, continua a lavorare per elaborazione e sovrapposizione. Torna la vocalità gutturale dell’incipit, compaiono squilli di sax e di ottoni, e poi i sampling e i synth, in un vortice sonoro inedito.

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Per quanto visionaria, la prima metà del disco conserva un certo grado di intelligibilità. Da Carne in poi invece Incani inverte abilmente la rotta. Inizia a destrutturare quel gigantesco Pollock che aveva costruito sommando suoni, l’approccio è più sintetico che analitico. La materia musicale si liquefà, inizia quell’intima fusione preannunciata in Tanca, fino a che alla fine di Mandria i vocalismi di gola imitano i profondi bassi campionati e viceversa: la matrice timbrica è diventata quasi indistinguibile. Quei timbri che aveva presentato ciascuno nella loro individualità in Buio sono ora intimamente fusi in un monismo che è puro suono. L’uomo si è riunito alla Terra.

2020, DIE è un capolavoro universale

Di certo non dovevamo aspettare cinque anni per scoprirlo. Eppure, la prova della Storia dà ragione alla consacrazione istantanea di questo gioiello. Così dopo cinque anni DIE si conferma quell’ascolto sempre nuovo ogni volta che riparte in cuffia. Proprio nei giorni in cui IRA sarebbe stato presentato, interviene il Tempo a ricordare, come se fosse necessario, il talento di Jacopo Incani, e a lenire il dispiacere per l’annullamento del tour. Di sicuro un disco che annulla, per una mezz’ora, quel vuoto di solitudine che si forma ormai intorno a noi, proiettando spazi infiniti nelle nostre orecchie.

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