Ugo Fantozzi è un personaggio nato dalla mente di Paolo Villaggio. Vede la luce per la prima volta tra le pagine di un libro, scritto dal compianto attore genovese nel 1971. Villaggio stesso diede il volto al ragioniere, prima in sketch comici televisivi, poi in un lungometraggio: il primo Fantozzi del 1975, diretto da Luciano Salce.
Questo è solo il primo di 10 atti, nei quali scopriremo ogni aspetto della vita dell’impiegato. Tuttavia, già questa prima pellicola rappresenta un autentico compendio di chi Fantozzi sia. Nello stesso periodo, Paolo Villaggio lavora ad un altro personaggio, Giandomenico Fracchia e che, nella prima stesura del romanzo, avrebbe dovuto essere l’amico di Fantozzi, inferiore quanto lui. Ruolo che sarà poi occupato dall’indimenticabile Ragionier Filini.
Fracchia è diverso da Fantozzi. È inetto, vigliacco e convinto della sua condizione di inferiore. Inferiorità per altro comprovata dalla sua espressione tipica: “Come è umano lei“. Fracchia è velenoso e cattivo nei confronti degli altri, ed è single. Il Ragioniere invece è sposato ed è felice, a suo modo, di aiutare gli altri. Fantozzi, nelle prime uscite ha un minimo d’amor proprio e cerca di ribaltare le situazioni negative che gli capitano, mentre il suo alter ego le accetta sommessamente. Tuttavia, col passare degli anni, Paolo Villaggio fonderà i due personaggi, che verranno inglobati nel Fantozzi delle ultime apparizioni.
La storia cinematografica del Ragioniere
Le avventure del Ragionier Ugo Fantozzi si compongono di 10 diversi film, per un arco temporale che spazia dal 1975 al 1999. Dagli anni di piombo all’alba del nuovo millennio, la saga di Fantozzi attraversa quindi epoche radicalmente diverse, ma anche differenti visioni del cinema.
La filmografia di Fantozzi si divide chiaramente in 2 fasi, concettualmente lontanissime tra loro. La prima è segnata dall’incontro tra Paolo Villaggio e Luciano Salce, attore e regista che resta tra i principali artefici di un passaggio cruciale del nostro cinema: quella svolta che conduce dal Neorealismo rosa alla grande stagione della Commedia all’italiana.
Salce si dedicherà alla regia de Il primo e Il secondo tragico Fantozzi. Due opere permeate della sua idea di tragicommedia, ironica e amara, la cui struttura è chiaramente ispirata ai classici della commedia degli equivoci, ma è anche memore della stagione dei Film a episodi, e soprattutto dello spirito degli anni ’60.
Il passaggio alla regia di Neri Parenti segna una cesura netta. Il sodalizio tra Paolo Villaggio e il regista fiorentino resisterà fino a 1996, quando Parenti archivia l’icona Fantozzi per ingaggiare una storica battaglia con i Fratelli Vanzina. Una guerra combattuta a colpi d’incassi miliardari. Neri Parenti, per imporsi come nuovo re dei Cinepanettoni, inasprisce volgarità e sessismo del linguaggio e delle situazioni. Allo stesso modo, anche i suoi Fantozzi presentano una struttura più lineare, convenzionale. Gag e battute cercano la risata facile, esprimono una comicità sempre più esplicita, mentre la messa in scena si fa sempre più povera, perfino becera.
La fase Neri Parenti si fa per altro sempre più ridondante. L’insistenza sugli schemi tipici, la reiterazione degli stessi espedienti comici, ormai garanzia di sicuro successo, sono i tratti caratteristici di queste pellicole, che hanno assunto ormai i contorni di un mero prodotto commerciale.
L’ultima fase si chiude così con Fantozzi 2000 – La clonazione, per la regia di Domenico Saverni, sceneggiatore e pupillo dello stesso Neri Parenti. Siamo al canto del cigno, con una ultima sbiadita, prevedibile replica, che ci ricorda anche un dettaglio molto triste. Paolo Villaggio ha dichiarato più volte di essere tornato e ritornato alla saga Fantozzi per un disperato bisogno di denaro.
La sua drammatica storia familiare, per altro, è sempre stata di dominio pubblico. La stampa scandalistica ha speculato per anni sul tormentato rapporto tra Paolo e suo figlio Piero, ricaduto più volte nel tunnel dell’eroina. Un dolore che attraversa come un sinistro rumore di sottofondo tutto il cinema più commerciale di Paolo Villaggio, naturalmente più incline alla provocazione nichilista, la sperimentazione nel teatro e nel cinema d’avanguardia.
Fantozzi negli anni : dalla critica sociale alla comicità becera
“Determinismo dei percorsi sociali”
Era questo il principio cardine del progetto di Licio Gelli, leader carismatico della P2: la loggia massonica più potente d’Italia. Proprio negli anni dei primi Fantozzi, la P2 inizia efficacemente a infiltrarsi nei mezzi di comunicazione, dai grandi quotidiani alle nuove reti televisive private. E questa non è una digressione. Perché la comicità nichilista e anarchica di Paolo Villaggio, negli anni ’60 e ’70 punta sempre alla borghesia italiana. Si fa beffe di ipocrisia e luoghi comuni, rivela la violenza intrinseca di una società che inasprisce i confini, separa le classi con limiti armati, da mantenere invalicabili.
I primi due lungometraggi della saga, trasposizione dei romanzi dello stesso Villaggio, si impongono così come il puro massimo di quest’umorismo caustico. Villaggio trova in Luciano Salce il perfetto interprete del suo linguaggio comico, capace di tradurre in immagini la falsità e la prevaricazione che contraddistinguono quella presunta brava gente. E quando le parabole letterarie di Paolo Villaggio diventano cinema, si imprimono per sempre nell’immaginario collettivo.
Il lassismo e i sotterfugi degli impiegati, la smania o forse l’illusione di scalare la piramide sociale, contro la stupidità dei capi che presidiano le posizioni di potere, cariche essenzialmente ereditarie, assegnate in base al cognome, la famiglia e il retaggio nobiliare. Villaggio e Salce conquistano il grande pubblico con una fotografia dell’Italia che resta lucida e impietosa. Ma i personaggi e le battute sono così efficaci che entrano nel linguaggio comune, diventano allegorie del tempo, mentre sfidano il paese a ridere di sé stesso.
La comicità dei primi Fantozzi è comunque esplicita, non teme la volgarità e non conosce tabù. Ma nella seconda fase della saga, quando la regia passa a Neri Parenti, Fantozzi perde totalmente la sua carica eversiva. Quando la critica sociale perde profondità e mordente, e avviene quel passaggio storico, che conduce alla comicità più becera, fatta di parolacce e funzioni corporali, garanzia di successo al botteghino.
Le implicazioni dei vecchi episodi, come il Viaggio a Montecarlo, nell’ultima fase restano purtroppo un ricordo lontano. Basta mettere a confronto quelle gag con la sequenza del Giudice popolare, contenuta in Fantozzi alla riscossa. Quando il Ragioniere rientra a casa, la Pina ha messo un gigantesco pesce spada nella vasca da bagno. Il pesce è vivo e pure aggressivo, e per difendersi Fantozzi lo lancia dal balcone. Immancabilmente, l’animale sfonda il lucernario di un ambulatorio medico, la sua spada finisce dritta nel fondoschiena del paziente, sdraiato in attesa della puntura.
Una scena contorta e totalmente gratuita, perfetta espressione di quella volgarità che appartiene a un’altra stagione del Cinema italiano, quella dei Cinepanettoni. I film della saga Fantozzi proseguiranno fino al 1999 sulla stanca ripetizione degli stessi schemi. In fondo, quelle maschere comiche sono così geniali che sembrano funzionare in eterno, perfino svuotare dall’energia delle origini. Per questo i personaggi principali non cambiano mai, come non cambiano i membri del cast, con l’unica eccezione della Signora Pina Fantozzi, che avrà prima il volto di Liù Bosisio, poi di Milena Vukotic.
a cura di Marta Zoe Poretti
Fantozzi: la mosca bianca
Ad una prima, sbrigativa occhiata, Ugo Fantozzi può apparire come l’esemplificazione di quello che è l’italiano medio, raccontato in maniera iperbolica e grottesca. Tuttavia, non è esattamente così. Se lo spirito che racchiude lo stereotipo dell’Italiano di quel periodo è quello di essere soccombente con i più forti e disonesto con i più deboli, delle persona che hanno inganno e opportunismo come stile di vita, il ragioniere non è cosi. Lui subisce in ogni modo possibile ma rimane integerrimo, puro di cuore e cerca di fare le cose in modo giusto e seguendo la legge.
Non cerca scappatoie per sfuggire le responsabilità ma anzi, affronta di petto le situazioni, mostrando più senso etico di qualsiasi superiore lui possa avere. Esemplificativo di questa purezza dell’animo fantozziano è sicuramente l’episodio appena citato, contenuto nel film Fantozzi alla Riscossa del 1990. Se quella stessa sequenza, con il pesce spada scadrà nella comicità più becera, all’inizio esprime invece tutto il candore e l’integrità del ragioniere, convocato come giudice popolare di un processo di Mafia.
Inizialmente è spaventato, ma poi, sebbene riceva doni per comprare la sua volontà, non si sottomette alla volontà dei criminali. Al contrario, Fantozzi rimane fedele a se stesso fino alla fine, non cedendo come fanno invece i suoi compagni di giuria. Subisce anche violenze, rappresentate in maniera goliardica, come la piovra viva nel letto, che rimanda alla mente la testa di cavallo de Il Padrino, ma non si piega. Crede nella giustizia e si dimostra ancora una volta il più retto di tutti.
Nello stesso film è poi presente un’altra storica sequenza. Dovendo rubare una radio, per superare una sorta di esame di autostima, decide invece di acquistare l’oggetto, fingendo soltanto di aver commesso un crimine. Anche in questo caso, come nella scene precedente, nella quale finisce in prigione lui, Fantozzi preferisce rimetterci, piuttosto che divenire disonesto.
Per il nostro soccombente, di pari passo con la sfortuna, va sicuramente la rettitudine morale.
Storia di un impiegato
La maggior parte dell’esistenza di Fantozzi si consuma all’interno del suo ufficio, dove viene costantemente sfruttato e vessato dai superiori. Durante l’arco della vita cinematografica del ragioniere, diverse figure di potere si succedono, ognuna delle quali mostra un diverso peccato che l’autore adduce ai potenti. Una sorta di catalogo dei vizi capitali che vengono messi a nudo attraverso la galleria dei grandi capi. Tralasciando il Mega direttore Galattico del primo film, il Duca Conte Semenzara, e il Dottor Guidoaldo Maria Riccardelli de Il secondo tragico Fantozzi, dei quali parleremo in maniera più approfondita in un paragrafo successivo, abbiamo deciso di citarne uno in particolare: il ConteDiego Catellani.
L’uomo, apparso nel primo film della saga, è un patito del gioco del biliardo (non a caso ricorda Minessota Fats de Lo Spaccone), oltre a nutrire uno smisurato amore per la madre, le cui fattezze sono riprodotte da una statua in bronzo, alla quale ogni mattino tutti i dipendenti devono porgere riverenza. Le sequenza con il Conte Diego Catellani sono fondamentali perché mostrano la tendenza di Fantozzi alla lealtà. Tutti i dipendenti sono disposti a perdere appositamente le partite di biliardo contro il direttore, così da ottenere favori e riconoscimenti.
Il ragioniere vorrebbe fare lo stesso, ma dopo una serie di umiliazioni decide di ribellarsi, giocare davvero e vincere la partita. Fantozzi vince, ma nello stesso tempo perde, rimanendo retto e rigorosamente fedele alla sua etica di vita, senza approfittare di scappatoie. Nella visione iperbolica di Fantozzi, un uomo inetto che deve sfruttare il suo potere per vincere a biliardo, e necessita della costante approvazione della mamma, è la perfetta rappresentazione del capo. Catellani è l’esemplificazione dell’ingiustizia delle scale sociali, dove non regna la meritocrazia e dove chi vince contro i potenti, alla fine perde ugualmente.