Fosse una settimana normale, in queste ore si procederebbe a fare bilanci sul Box Office italiano, comparare numeri e dichiarare vincitori e delusioni del finesettimana. Quello in cui il mondo-cinema è bloccato è invece un pantano di incertezza, in cui l’attesa di aggiornamenti dalla cronaca maschera solo a fatica l’apprensione per quei conti che in nome dello “stringiamoci forte” si finge siano passati in secondo piano. Le miopi previsioni di inizio mese sono state spazzate via; quelle che parevano misure adottate per scrupolo in vista di una riapertura (detto oggi fa ridere) fissata per l’otto marzo, si sono dovute adattare all’esponenziale peggioramento dei numeri. Non finirà presto.
Coronavirus e il Cinema, come ripartire?
Se già dallo scorso 22 febbraio i numeri del Box Office italiano avevano visto un drammatico calo con l’esplosione dei primi casi nel lodigiano, l’ultimo weekend “pieno” di cinema risale allora a oltre un mese fa. Da allora, il –95% del primo marzo e la chiusura della settimana successiva hanno fatto piazza pulita, imponendo quel modello cinese di prevenzione che fino a pochi giorni fa appariva come distopia draconiana. Un anno fa, il già triste primo trimestre del 2019 chiuse a un totale di 168 milioni (prima di rilanciarsi a botte di blockbuster Disney e chiudere un’annata ottima); gli incassi cinematografici del nuovo decennio sono ora bloccati a un malinconico 147 milioni. Si può solo rimanere fermi, e guardare il divario continuare ad allargarsi.
Dopo un mese senza cinema, il Box Office italiano annuale conta ora oltre venti milioni di passivo rispetto al 2019
L’attuale stato di paralisi fatalista in cui versa il Box office italiano e l’intera industria del cinema nostrana, qui sta la notizia, ha però finalmente un numero con cui confrontarsi. Se il dramma fondante di questa faccenda è stato proprio la mancanza di metri di paragone con cui valutare un’epidemia di cui né il sistema sanitario né men che mai quello amministrativo e industriale avevano misura, gli aggiornamenti dalla Cina sono allora le uniche forme di avanscoperta disponibili. Le differenze di proporzione e provvedimenti adottati restano tante, ma per tornare a ipotizzare sviluppi futuri non resta che guardare a Wuhan, e allo stato di Hubei.
Numeri generali: dopo due settimane di quarantena militarizzata (iniziata il 23 gennaio), l’8 febbraio scorso il primo report OMS annunciò l’inizio della fase regressiva dell’epidemia. Il mese successivo vide un progressivo rallentare dei blocchi nelle regioni meno infette; già a fine febbraio, il governo cinese iniziò ad incoraggiare la ripresa delle attività lavorative nelle megalopoli di Shangai e Pechino, con le dovute restrizioni. Nella giornata del 16 marzo, il grande annuncio: il Zhongying Golden Palm Cinema è il primo multisala ufficialmente riaperto al pubblico. L’industria cinematografica cinese, come il resto delle attività, aveva abbassato le saracinesche tra il 25 e il 26 del gennaio precedente (un mese prima del blocco del Box Office italiano). Circa sei settimane dopo, il primo passo è stato formalmente compiuto, e la settimana successiva altre sale hanno seguito. Nella regione di Xinjiang non si registravano casi da 27 giorni.
Il primo cinema cinese ad aver riaperto al pubblico non ha visto uno spettatore in 24 ore: è necessario iniziare a pensare al dopo
Il cinema eletto per l’esperimento-sondaggio non registrò un singolo spettatore pagante nella prima mezza giornata di apertura. Il che ci pone per la prima volta di fronte a quello che, dall’inizio dell’epidemia, è stato il grande rimosso del discorso pubblico, in favore di una pur comprensibile mentalità carpe diem: il dopo. Con 4/5 dei contagiati ormai guariti e l’emergenza superata, lo Stato cinese ha dimostrato come una quarantena ferrea sia capace di riportare nei ranghi una pandemia (ottantamila casi) anche maggiore di quella italiana. Ma gli effetti di questa andranno ben oltre il mese e mezzo di rosso in bilancio dalle sale nazionali (perdite stimate: due miliardi di dollari americani).
Come spiegato esaurientemente dal gestore del Zhongying Golden Palm a Variety, affidare le operazioni di disgelo alla buona volontà dei privati è un invito al suicidio economico. Con due mesi di ritardo sulle uscite e nessuna major ansiosa di lanciare nuove pellicole nelle sale vuote, il multisala è costretto da una settimana a mettere in cartellone film di seconda visione risalenti del periodo natalizio, corredati di poco invitanti sconti per famiglie. “L’unica cosa che possiamo fare è testare la situazione e valutare il feedback del pubblico”, le sue parole. “Ma se non ci sono i film, non fa differenza per noi essere aperti o chiusi. Possiamo solo aspettare che tornino a distribuirne di nuovi”.
Il messaggio è chiaro, e da qui a un mese varrà pure per il Box Office Italiano: nessuna ripresa è possibile senza lo sforzo coordinato dell’intera filiera. Con un calcolo puramente arbitrario, potremmo applicare la cronologia cinese alla pandemia italiana; collocheremmo dunque l’inizio del calo a fine marzo, e un’ipotetica riapertura dei primi spazi pubblici nella seconda metà di aprile (impossibile pensare al 3); ma riportare gli spettatori in sala sarà infinitamente più difficile.
Senza lo sforzo coordinato dei distributori, la riapertura è un’utopia: per riportare il pubblico in sala il Box Office Italiano avrà bisogno di nuovi film
La China Film Group Corporation, principale azienda di stato centralizzata dedita alla distribuzione cinematografica su territorio nazionale, starebbe nel frattempo ultimando le analisi di mercato per riavviare a partire da aprile l’ingestione di nuove offerte; la ripartenza a pieno regime dell’intero settore è stimata per l’inizio di maggio e forse prima. La popolazione si dice pronta: per il 68% dei cinesi, il ritorno al cinema è in cima alla lista degli svaghi da riconquistare. Solamente il 30% si dice però pronto a rischiare prima che il virus sia stato interamente debellato. E per quello, potrebbero servire ancora svariati mesi. Nel frattempo, l’esempio del Zhongying Golden Palm ha aperto le porte ad altri coraggiosi: al weekend del 22 marzo, le sale riaperte sono poco più di 500. Una percentuale minima degli oltre 60mila del territorio cinese; ma il lavoro di riabilitazione è ufficialmente partito.
Il test cinese sta dimostrando come l’epidemia rimarrà introiettata nelle abitudini della gente molto tempo dopo che l’emergenza sarà svanita. Tempistiche che, considerando il forte ritardo del resto d’Europa nel contenimento, in un continente così interconnesso potrebbero ulteriormente allungarsi. Se anche a fine aprile dovessero arrivare le prime riaperture in Italia, sarà necessario agire con la massima sinergia d’intenti; ci sono un mese e mezzo di film sospesi da distribuire, e cinquemila sale bisognose di riconquistare e fidelizzare un pubblico fuggitivo. Negargli le nuove uscite per paura, aspettando all’infinito la chimera di uno spontaneo ritorno al cinema di massa, non farà altro che danneggiare ulteriormente esercizi già al collasso. Le prime major, si dice, stanno già valutando la strada della distribuzione on demand in cooperazione con i colossi dello streaming. L’uscita in sala diventerebbe per la prima volta sacrificabile. E gli unici a rimetterci resterebbero gli esercenti.
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