Cattive acque, la feroce denuncia di Todd Haynes all’inquinamento idrico|Recensione
Cattive acque è quel tipo di legal movie di cui il cinema americano ha disperatamente bisogno per risvegliare la coscienza etica e morale degli Stati Uniti
Ancora una volta Davide si trova a fronteggiare Golia, questa volta però lo fa non con la fionda ma con denunce e azioni collettive portando il gigante in tribunale. La lotta biblica è raccontata in un articolo pubblicato sul New York Times nel 2016, The Lawyer Who Became DuPont’s Worst Nightmare, il quale sviscera uno dei più grossi scandali riguardo l’inquinamento idrico, in corso dal lontano 1998. Mark Ruffalo, che interpreta Robert Billot, l’avvocato che è diventato il peggior incubo della DuPont, ha deciso di fare della storia un film proprio dopo aver letto l’articolo del Times, vestendo anche i panni di produttore. In Cattive Acque un Ruffalo sempre sottotono presta il volto all’eroe delle periferia americana, grassoccio, pallido e con l’ansia, che a colpi di ingiunzioni è riuscito ad avere la meglio sul colosso dell’industria petrolchimica degli Stati Uniti.
In Cattive acque Haynes sceglie un registro stilistico più asciutto e smorzato, con una fotografia dalle tinte fredde, per dare un tono di gravità alla faccenda raccontata. Quindi il film assume un aspetto quasi austero, come a voler portare sullo schermo il grigiore di quei luoghi devastati dall’incoscienza e l’incuria della DuPont. E allo stesso tempo per rappresentare lo sconforto e il malessere provati dai protagonisti di questa storia, che hanno dovuto affrontare una battaglia lunghissima ed estenuante, e la cui vittoria a volte sembrava impossibile. Una battaglia che si è protratta lungo l’arco di quasi 20 anni, e che continua tuttora, ma ridotta ed eccessivamente diluita, attraverso i momenti che maggiormente ne hanno segnato il corso. Quasi, però, da rendere scarna la narrazione, se si pensa al finale che sembra essere risolto in maniera sbrigativa, dopo l’ultima dura batosta dalla quale il protagonista sembra non potersi rialzare.
L’esigenza morale di Haynes
In Cattive acque Haynes quindi si fa da parte, scegliendo uno stile molto più sobrio, ma rischiando di svalorizzare la potenza catartica dell’immagine. Il regista preferisce dar maggior peso alla vicenda etica di cui il cinema americano, e la società americana, sembra aver bisogno per poter far luce sulle pagine scure della storia degli Stati Uniti. E per educare gli spettatori, mettendoli in guarda circa i veleni che contaminano e corrompono la terra, come la mente e la morale. È così che Haynes, ancora una volta, in uno stile piuttosto freddo, atipico e quasi anomalo dà corpo alle istanze del dramma legale, per poter dare maggior risalto alla faccenda e alla sua denuncia.