Credo che sia possibile affermare che Hitchcock fosse il franchise di se stesso.
E in fondo era così, le uscite di Hitchcock creavano nel grande pubblico la stessa reazione che provoca oggi il cinema commerciale sulla massa. Se oggi consideriamo Hitchcock un autore in piena regola è senza dubbio merito del contributo essenziale di Francois Truffaut. La moderna concezione dell’autore cinematografico è legata proprio alla politique des auteurs, principio teorico di critica che nacque in seno ai Cahiers du Cinéma.
L’appassionata monografia in forma di intervista è quindi l’occasione perfetta per inquadrare Alfred Hitchcock negli schemi dell’autorialità, snocciolando la sua poetica e consacrandolo a tutti gli effetti tra i più grandi cineasti di sempre. Due esistenze per Hitchcock, da intrattenitore e da autore, come le due esistenze della protagonista di Vertigo, come le due esistenze del film. Un’opera all’epoca considerata quasi un fallimento oggi è a ragione uno dei suoi film più importanti e uno tra i capolavori della storia del cinema.
In Vertigo troviamo condensate tutte le teorie narrative di Hitchcock sulla suspense e la sorpresa nella loro espressione più compiuta. Ciò sostenuto dall’assioma della forma puramente visiva, di un cinema che costruisce per immagini e che si serve di trovate geniali. Tra queste l’invenzione di quello che nei manuali viene insegnato come effetto Vertigo. Per suggerire in soggettiva le vertigini del protagonista John Ferguson il regista combinò uno zoom con una rapida carrellata, ottenendo una deformazione dell’inquadratura che ha fatto scuola ed è stata imitata in tantissimi altri film.