Childish Gambino e la sua festa musicale apocalittica
Sarà il momento difficile che stiamo vivendo. O forse sarà la tracklist composta quasi esclusivamente da canzoni senza titolo. Oppure, sarà la copertina completamente bianca come un quadro di Kazimir Malevich. O anche, saranno canzoni apocalittiche e profetiche come Algorhythm, o Feels Like Summer (qui intitolata 42.26, la terzultima del disco). Saranno tutte queste cose: ma davvero 3.15.20 suona come una specie di party alla fine del mondo. Una festa che prosegue nonostante tutto quello che accade: tra COVID-19, Global Warming, la guerra in Siria, invasioni di cavallette e quant’altro. Donald Glover (che si chiama ancora, attenzione, Childish Gambino), non appare prendere posizione in maniera diretta: il suo, specialmente a livello di sonorità , non è un disco che vuole essere direttamente critico.
Vogliamo vederci una metafora? Il mondo è Cesare, e i congiurati siamo noi, e il 15 marzo è il giorno stabilito da Gambino per la fine della civiltà umana? No, forse questo è più materiale da complottisti. Ma certo è che questo nuovo album di Childish Gambino (come i suoi precedenti, del resto) non possa essere visto come un semplice disco musicale. Abbiamo di fronte un’opera pregna di significati, sperimentale e sottilmente provocatoria, tentatrice e a suo modo ribelle. Ma è presto per trarne un’impressione definitiva. Forse, tra qualche mese, usciti dall’emergenza, potremo capire meglio questo disco: per ora lo ascoltiamo, lo apprezziamo, cerchiamo di interpretarlo, e ringraziamo naturalmente Donald Glover di esistere.