4. Il sesto senso, M. Night Shyamalan, 1999
“Nel Sesto Senso Bruce Willis è un morto” canta il prode Caparezza nel brano Kevin Spacey.
Ecco una top ten dedicata delle migliori interpretazioni di Bruce Willis, un attore troppo spesso bistrattato
“Nel Sesto Senso Bruce Willis è un morto” canta il prode Caparezza nel brano Kevin Spacey.
Ma dopo oltre vent’anni, forse non si tratta neanche più di uno spoiler. Il personaggio di Malcolm Crowe, psicologo infantile destinato a vagare senza pace, inconsapevole della propria morte violenta, saprà imprimersi istantaneamente nell’immaginario collettivo.
Il sesto senso di M. Night Shyamalan segna un fondamentale punto di rottura nella carriera di Bruce Willis. Per un’icona del cinema Action, che resta il volto e il simbolo della saga Die Hard, si tratta infatti di una triplice scommessa. Anzitutto, per la prima volta Bruce Willis varca il confine dell’Horror, abbandonando la classica struttura del blockbuster, programmato per l’incasso.
In secondo luogo, esce anche dal tracciato delle grandi produzioni hollywoodiane, per scommettere su quel promettente filmaker indiano, ancora sconosciuto al grande pubblico. Infine, per Il sesto senso Bruce Willis cambia pelle, punta per la prima volta su un ruolo criptico, sussurrato, per una una performance che esclude totalmente la fisicità. Possiamo scrivere che uno tra i personaggi più importanti nella filmografia di Bruce Willis è letteralmente una presenza immateriale. Un fantasma, che continua a vivere la quotidianità del Dottor Malcolm Crowe, finché non ha compiuto la sua ultima missione. Il suo ultimo paziente è il piccolo Cole, interpretato da Haley Joel Osment; un personaggio iconico, che resterà nella Storia del Cinema per quel sinistro talento che è anche una condanna, vedere “la gente morta”. Il Dottor Crowe lo salverà dalla follia, assicurandogli forse una vita normale. Ma di contro, da quel fragile bimbo apparentemente disturbato, Malcolm Crowe sarà a sua volta salvato.
Bruce Willis con Il sesto senso rivela finalmente al mondo il su talento di interprete drammatico. Esprime tutta la malinconia di una vita spezzata, e nel suo sguardo troveremo una serie infinita di chiaro scuri. Un’interpretazione così incisiva e sorprendente che è praticamente una rinascita, già nessuno sembrava conoscere Bruce Willis al di fuori dello scontro fisico, le esplosioni e gli inseguimenti di un cinema fortemente spettacolare.
Con estremo coraggio, il nostro si mostra stavolta come un uomo impaurito, anzi terrorizzato. Uno psicologo di chiara fama, ma anche un essere umano, che rifiutando la fine, nega i propri stessi meccanismi di rimozione. E grazie all’interpretazione di H.J. Osment e Bruce Willis, Il sesto senso diventerà l’Horror con il secondo miglior incasso di sempre.
A cura di Marta Zoe Poretti
Nelle 12 scimmie è IL morto – prosegue sempre Caparezza nel suo brano dedicato al cinema.
In questo film, vero gioiello del cinema di fantascienza, Bruce Willis sfodera una delle prestazioni più emotivamente cariche e pregne della sua carriera. Interpreta James Cole, un “volontario” che viene mandato indietro nel tempo per trovare un antidoto al virus e l’epidemia che, in un futuro distopico, hanno quasi estinto la razza umana. Durante l’intero arco della pellicola, l’uomo procede in un continuo stato di stordimento, causato dagli sbalzi temporali, o dalle massicce dosi di psicofarmaci, somministrate durante un ricovero in manicomio.
La sensazione di totale distaccamento dalla realtà, la necessità forzata di trovare un senso in un mondo sull’orlo del collasso, sono perennemente impresse sul volto di Cole. Dal punto di vista fisico, l’interpretazione di Willis è semplice ma efficace. Come si rende l’idea di un uomo totalmente disorientato e stordito? Facendolo cadere di continuo. Cole appare sempre claudicante, incapace di rimanere dritto in piedi, le occhiaie evidenti a cornice di uno sguardo perso nel vuoto.
L’intensità della performance è costante e non lascia tregua, per un personaggio che non accenna mai il minimo segno di ripresa. Anche nelle sequenze maggiormente action, Cole mostra sempre enorme fatica e difficoltà. La linearità di questa sua continua assenza si alterna a momenti di panico assoluto, legati a quell’incubo ricorrente che condurrà al catartico finale. Ma Cole sarà al centro anche di deliranti sequenze in manicomio, dove si mostra un vero derelitto, piegato su sé stesso, con la bava alla bocca. Terry Gilliam conduce a braccetto il nostro nella follia del film, plasmando le sue inquadrature distorte sulla performance di un Willis in stato di grazia, che approfitta del ritmo sincopato del film per fornire una prestazione bislacca, sbilenca come un quadro cubista, ponendosi al centro di quella struttura anti-narrativa che distingue il capolavoro di Terry Gilliam.
Perché se L’esercito delle 12 scimmie è un vero capolavoro, il merito potrebbe appartenere soprattutto a Bruce Willis.
Nell’immaginario collettivo, Bruce Willis è il volto di John McClane, protagonista della saga di Die Hard. Questo primo capitolo è quello che dà il via alla storia dominata da quel leggendario agente di polizia, capace di salvare sempre la situazione, anche quando le condizioni sono estreme e le cose sembrano volgere al peggio. Trappola di cristallo è il prototipo del cinema action che avrebbe invaso il mercato cinematografico mondiale per i vent’anni successivi. Bruce Willis incarna perfettamente il super macho, l’uomo che da solo sconfigge drappelli di terroristi armati fino ai denti.
Nel farlo è sempre pronto alla battuta, a schernire i rivali che cercano di ucciderlo con ogni mezzo, senza mai riuscirci. La componente visiva è ovviamente preponderante in film di questo genere, ma l’interpretazione di Willis funge da perfetto collante tra le sequenze cariche di esplosioni e proiettili. John McClane apre la strada ai vari Jason Bourne e John Wick, che si sarebbero succeduti nel corso della storia del cinema, senza fare paragoni tra i personaggi. Quello di Willis è unico, divertente, arrogante, sicuro e spietato. Alleggerisce il clima quando le troppe esplosioni potrebbero affaticare lo spettatore. Carica di adrenalina la scena appena accenna a scendere di intensità. Tutta la pellicola è perfettamente bilanciata sulle capacità del suo protagonista, che non viene inserito in una storia di spionaggio classica. Al contrario, è la storia ad essere espressamente strutturata intorno al suo protagonista, che regge sulle spalle tutto il film , divertendo in ogni singolo fotogramma.
Se il cinema action è quello che è oggi, dobbiamo ringraziare John McClane.
Quando si pensa al capolavoro di Quentin Tarantino, le prime immagini marchiate a fuoco nella mente di tutti sono quelle che riguardano il ballo tra Vincent Vega e Mia Wallace, o magari Jules che recita quel passo immaginario della Bibbia, Ezechiele 25,17. Tuttavia, la parte centrale del film è dominata da un altra storia, quella di Butch, il pugile che tenta di imbrogliare Macellus Wallace per arricchirsi e fuggire da Los Angeles. Tarantino affida a questa sequenza la parte più surreale dell’intera pellicola, disegnandola addosso al proprio attore. Bruce Willis è perfetto nell’interpretare questo pugile sbruffone, che crederà di farla franca in barba al mondo intero. Ma in Butch c’è molto di più. La storia dell’orologio del padre è uno dei pezzi storici del cinema di Tarantino, e quando il pugile scopre che la fidanzata Fabienne ha dimenticato proprio il suo orologio, vedremo una delle migliori sequenze del repertorio di Willis, sospesa tra follia e calma apparente.
Le variazioni di intensità espressiva che attraversano il volto di Butch sono impressionanti. Tutta la performance balla sul filo che va dalla tracotanza all’ira. La parte finale del suo episodio, quando finisce suo malgrado nella tana di due maniaci sessuali, è la summa di tutto quello che ha preparato prima. La follia omicida che esprime quando tenta di uccidere Marcellus Wallace, e con la quale fa secco uno dei due maniaci, si legge perfettamente dallo sguardo dell’attore. Allo stesso modo, quel volto esprime una calma quasi incredula, quando ascolta il discorso del boss, e poi fugge via, praticamente piegato quasi su sé stesso. Queste espressioni del volto spiegano perfettamente chi Butch sia, come faccia ad essere il personaggio scelto da Tarantino per tenere insieme la parte iniziale e la parte finale del film, dedicate invece alle vicende dei gangster interpretati da John Travolta e Samuel L. Jackson.
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