Ozzy Osbourne è nella fase finale della sua carriera
Quindi il suo ultimo disco potrebbe essere considerato un ritiro in grande stile per l’ex frontman dei Black Sabbath. Un album che riassume perfettamente la vita di una delle figure più importanti della storia del rock, un’opera testamentaria ma allo stesso tempo un potente slancio vitalistico. Sembra infatti che Ozzy Osbournenon sia ancora pronto ad abbandonare la scena, nonostante i numerosi problemi di salute che l’hanno costretto a sospendere la sua attività dal vivo.
Così a ruota dietro le sue dichiarazioni si susseguono voci che vorrebbero il padrino dell’heavy metal già a lavoro su un nuovo album dopo Ordinary man. Di fronte all’energia inarrestabile di una figura oltre ogni definizione di carisma, non possiamo che celebrarne la splendida carriera attraverso quelli che sono alcuni dei suoi lavori più rappresentativi. Nonostante il nome di Ozzy Osbourne sia indissolubilmente legato alla sua band storica, i suoi dischi da solista rappresentano delle perle rare all’interno della sua storia artistica. Tanti brani giustamente passati alla leggenda da dischi che sono leggende istantanee.
5) Black Rain, 2007
L’Ozzy Osbourne più lucido di sempre restituisce una visione cupa ed oscura di un mondo che sente andare in frantumi. La risposta a chi lo dava spacciato dopo il discutibile Down to Earth, la risposta ad una vita dissoluta: tutto questo è Black Rain, il primo album che Ozzy Osbourne ha registrato da sobrio. Un’opera dalle tinte nere ma caratterizzata da una precisione invidiabile nelle sonorità e negli arrangiamenti. Sicuramente tra i dischi di Osbourne più vicini all’industrial metal, in cui la vocalità di Ozzy, all’epoca alla soglia dei sessant’anni, raggiunge una perfetta compostezza.
Nell’equilibrio non manca di certo la tracotanza di pezzi come 11 Silver o Trap Door, contrappunto necessario alle più delicate Lay your world on me o Here for you. Termine medio tra queste zone del disco è proprio la title track, la splendida Black Rain, in cui all’impianto heavy metal si affiancano già quei sintetizzatori che ci accompagneranno per tutto il disco. Oltre alle tracce poderose di chitarra e batteria di Zakk Wylde e Mark Bordin, un elemento notevole del disco sono infatti le tastiere, come nell’introduzione di Here for you, che si ricollega direttamente ad alcuni capolavori del madman.
4) Bark at the moon, 1983
Black Rain è un disco a suo modo di rinascita, ma di rinascite nella vita di Ozzy Osbourne ce ne sono state fin troppe, alcune anche troppo dolorose. È il caso di Bark at the moon, tentativo di reagire alla scomparsa di Randy Rhoads, il talentuoso chitarrista che ha reso memorabili alcune tracce dell’esordio solistico di Osbourne. Esorcizzare il dolore attraverso la musica, ululare alla luna tutta la propria sofferenza; il disco non si perde però in inutili melismi.
Risuona anzi fulmineo nella straordinaria Centre of eternity o nella title track, senza dubbio tra le pagine migliori del madman. Tuttavia riesce a toccare anche vette irripetute di delicatezza e intensità , specie nello splendido arrangiamento sinfonico di So Tired. Se lo scopo era quello di mantenere una continuità con il suono di Rhoads, la sua morte segnò inevitabilmente una cesura all’interno della produzione di Osbourne.
L’arrivo dell’altrettanto geniale Jack E.Lee si accompagna al ritorno di Don Airey alle tastiere: due personalità che non potevano non apportare i propri paradigmi all’interno del mondo sonoro di Osbourne. E se consideriamo classici gli album d’esordio, qui siamo di fronte ad una seconda maniera, che introduce timbri nuovi nell’estetica di Ozzy, come gli scintillanti synth di Slow Down o Waiting for darkness.