Genere principe della musica classica, la musica da camera potrebbe essere il compagno perfetto per questa forzata quarantena nella vostra camera. Non è un caso infatti se questo filone compositivo si chiama così. Stabiliti i suoi canoni nella piena classicità viennese, era la musica che allietava i salotti delle aristocrazie. Non quindi grandi sale da riempire con orchestre dall’organico sempre più grande. Piccole stanze per pochi esecutori.
Difatti questa è la principale differenza con il sinfonismo. Mentre in un’orchestra le diverse sezioni costano di diversi elementi che suonano, rispettivamente, all’unisono, nella musica da camera ogni strumentista gode di una perfetta autonomia. Dalle grandi orchestre si passa quindi ai piccoli ensemble: dal quartetto d’archi, re assoluto della musica da camera, fino ad ottetti e nonetti o a formazioni ancora più nucleari, come il duo o il trio.
Questa piccola guida vuole accompagnare questo mese di clausura facendovi entrare nel mondo cameristico attraverso alcuni dei capolavori più importanti e rappresentativi di quella che è a ragione una vera e propria arte nell’arte, e forse immeritatamente sconosciuti.
Ludwig Van Beethoven, Große Fuge op.133
L’ultima fase della vita di Beethoven potrebbe essere idealmente divisa in due produzioni, frutto ciascuna di due impulsi contrastanti. Il primo era la tensione all’eternità, alla consacrazione definitiva, quello che ha portato alla creazione di due grandissimi capolavori universalmente riconosciuti da tutto il grande pubblico, ovvero la Nona Sinfonia e la Missa Solemnis.
Dall’altro lato, e in realtà componente imprescindibile di tutta la sua arte compositiva, c’era lo sforzo irrefrenabile di sperimentare sulla materia sonora portando la composizione a risultati totalmente inediti, cercando di valicare i confini di quel mondo fatto di silenzio in cui il suo genio era rimasto beffardamente intrappolato. Questo ci porta alle ultime Sonate per pianoforte, ancora oggi grandissima sfida per tutti i pianisti, e agli ultimi lavori cameristici, tra i quali la Grande Fuga op.133.
L’esempio forse più fulgido ed estremo dell’arte compositiva di Beethoven, nonché una delle vette mai più raggiunte nella storia della musica da camera. La complessità contrappuntistica di questa fuga non ha alcun precedente rispetto all’epoca in cui fu composta, tanto da essere giudicata totalmente ineseguibile dai musicisti suoi coevi. Nel tempo invece l’evoluzione della tecnica strumentale ha permesso a tutti di godere dell’architettura intricata e misteriosa di questa composizione straordinaria.
Prokofiev non visse nello splendore il suo approdo in America. L’occasione arrivò nel 1919, quando un ensemble di strumentisti russi commissionò al compositore un’opera, e da qui al debutto alla Carnegie Hall il passo fu breve. Nacque così una delle composizioni di musica da camera più note di Prokofiev, l’Ouverture su temi ebraici, destinata ad un organico sicuramente singolare.
Il sestetto è infatti formato dal pianoforte, il quartetto d’archi e il clarinetto: un impasto timbrico notevole, che si presta benissimo alle sfumature un momento liriche, un momento più danzanti, del brano. Protagonisti sono senza dubbio il clarinetto e il violoncello, che espongono i due temi principali di questa ouverture dalla forma assolutamente classica.
Maurice Ravel, Trio con pianoforte in la minore
Di questa composizione è sicuramente nota la celeberrima Passacaglia, utilizzata per altro nella colonna sonora di Birdman. Tutto il trio però merita di essere riscoperto, nei suoi quattro affascinanti movimenti. Ravel recupera forme arcaiche, non solo nella Passacaglia, ma anche negli altri movimenti. Il secondo ad esempio è ricamato sulla forma poetica del pantoum, struttura strofica malese utilizzata anche da Baudelaire nel suo Harmonie du soir.
La scelta dell’organico permette di disporre di un ampio registro che va dalle profondità più grevi del violoncello alle agili ed eteree virtuosità del violino. Così, allo stesso modo il fraseggio si fa vario, dalla frase in 8/8 che caratterizza il primo movimento, agli episodi più folkloristici, fino a quelli più meditativi della passacaglia.
Johannes Brahms, Quartetto con pianoforte op.25
Siamo nuovamente di fronte ad un baluardo della musica da camera. Un’opera statuaria, esemplare, tanto da meritare uno splendido arrangiamento ad opera di Arnold Schoenberg, che la orchestrò nel 1938. Il capostipite della seconda scuola di Vienna considerava infatti Brahms l’ideale prosecutore della lezione di Bach e Beethoven: tributò così il suo omaggio a Brahms, il progressivo, come lo definiva nei suoi saggi musicologici.
Alla sua prima prova con questo organico Brahms diede già un modello di riferimento per la sua arte compositiva. Mentre Wagner preparava il terreno alla crisi dei linguaggi tradizionali, Brahms continuava a rivolgersi ai classici, specie a Schubert. In questa composizione per pianoforte, violino, viola e violoncello Brahms costruisce l’intero impianto tematico partendo dal nucleo motivico iniziale, sfruttando il principio della variazione-sviluppo, che ancora sarà di estrema ispirazione per Schoenberg e la sua dodecafonia.
Nonostante l’estremo rigore compositivo, non viene meno quel carattere che ci permette di riconoscere immediatamente un brano del romanticismo musicale. Ed è senza dubbio tra i più belli ed importanti della musica romantica, ricco di un lirismo che non sfocia mai in un languido mèlos. Peccato che sia suonato poco e male, come diceva qualcuno. Eppure offre una ricchezza di atmosfere, dallo struggimento corale del secondo movimento alla sfrenata zingaresca del quarto, che lo rende un ascolto assolutamente consigliato.
César Franck, Sonata per violino e pianoforte
La chiusura della prima parte di questa guida è affidata alla formazione più piccola della musica da camera. Il duo è la combinazione minima del camerismo, e può dare vita ad una quantità praticamente infinita di impasti timbrici. In questo caso, siamo in uno dei casi più classici, ma non per questo meno importanti. Brano entrato stabilmente nel repertorio di tutti i violinisti, fa parte del periodo più florido della vita di César Franck per quanto riguarda la musica da camera. Tra il Quintetto e il Quartetto nasce questa splendida Sonata, opera che iscrive Franck tra i protagonisti indiscussi dell’ars gallica e che lo rende maestro di riferimento di tutta la generazione di compositori che da Debussy attraversa il Novecento.
Dall’incipit del primo movimento si colgono subito i prodromi dell’impressionismo musicale. Una costruzione melodica sempre ardita ed ispirata, che si regge sulla grande inventiva armonica e su di un equilibrio praticamente perfetto tra i due strumenti. Gli ingredienti di questa sonata ciclica sono quelli di un grande maestro che versa la sua matura personalità musicale nel suo capolavoro.