Singolo dai tratti particolarmente disturbanti, le cui sonorità ricordano quelle di un luna park dell’orrore. La parte musicale assume toni, nella ritmica, particolarmente industrial, mentre il cantato sempre immancabilmente punk di Keith Flint ne guida le sonorità micidiali. Da non perdere anche il video, nel quale i tre principali componenti del gruppo “ridiventano” sé stessi dopo un’assenza di cinque anni, e si dedicano ad attività indescrivibili.
5. Poison (1995)
Un pezzo più lento e ipnotico rispetto alla media del gruppo, che occhieggia alla trance e alla psichedelia. L’effetto è ovviamente quello di una condizione musicale “under the influence”, laddove la stessa “poison” del titolo (termine che in inglese significa sia “veleno” che “medicina”) potrebbe essere un riferimento ad una droga qualunque. Preferibilmente, visto che si parla di techno, all’ecstasy.
4. Firestarter (1997)
Uno dei brani più celebri dei Prodigy, dall’atmosfera particolarmente spenta e incolore, e dal contenuto quasi “punk”. La voglia di aggressività e di anarchia del gruppo qui emerge in toto, e il ritmo elettronico indefinibile e ossessivo ne acuisce l’effetto. Protagonista assoluto del pezzo, con la sua verve alla John Lydon, è ovviamente il vocalist Keith Flint. Che, apparendo nel video della canzone, fornisce anche una delle rappresentazioni più iconiche della storia dei Prodigy.