Viceversa è la schizofrenia musicale di Gabbani, tra ItPop e Sanremo
Con il suo quarto album, Francesco Gabbani sembra restare intrappolato in una specie di dimensione trans-musicale. Da una parte, infatti, c’è la musica tradizionale italiana, quella per il grande pubblico, che Gabbani proponeva nel suo primo disco, Greitist Iz (2014). Dall’altra, “l’aggiornamento” a sonorità più fresche e giovani, con impiego di synth, ritmi più dance e accenni anni ’80, che già si ritrova nel suo secondo lavoro, Eternamente Ora (2016), ma soprattutto nel terzo, Magellano (2017). Dopo tre anni di assenza, e reduce dal successo e dalla consacrazione Sanremese con Occidentali’s Karma, Gabbani si trova in una posizione del tutto particolare, in bilico tra le due tendenze sopra illustrate.
Il pubblico di Gabbani, come la sua musica, è trasversale. Qualcuno lo può apprezzare per i testi intelligenti ma tutto sommato non audaci; qualcun altro lo può seguire per i suoni e le buone idee compositive. In Viceversa, il suo nuovo album, si ritrova un equilibrio precario di tutte queste tendenze. Nella prima canzone, Einstein, Gabbanisi prende gioco (grossolanamente) della trap, e una strofa dopo cita Marco Castoldi (Morgan). Promette bene: sembra che le intenzioni dell’artista vogliano essere provocatorie e incisive. Ma non accade. Nel disco non c’è mai unaOccidentali’s Karma, non c’è un pezzo nel quale Gabbani riesce a dare il meglio a tal punto, unendo voce, personalità e stile proprio.
Francesco Gabbani sembra incastrato tra Tommy Paradiso e Marco Mengoni
Invece, le nove tracce oscillano continuamente in una schizofrenia che va avanti e indietro da Tommaso Paradiso a Marco Mengoni, e “viceversa”. Il sudore ci appiccica (la migliore del disco), Duemiladiciannove e Bomba pacifista potrebbero tranquillamente essere canzoni di Thegiornalisti. Mentre Cinesi, Viceversa (il pezzo presentato a Sanremo quest’anno) e Cancellami appartengono a quel cantautorato pop italiano che mira alle radio, al pubblico generico e all’ascoltatore occasionale. Le idee ci sono, e sono anche tante, ma Il sudore ci appiccica sembra essere l’unica canzone davvero riuscita a fondo, sviluppata al massimo delle potenzialità .
Nel resto del disco, è un po’ come se Gabbani avesse paura di essere prima troppo provocatorio, e poi troppo tradizionale. Il risultato è una collezione di pezzi che, seppur assolutamente validi e a loro modo “originali” per il panorama mainstream italiano e per quello Sanremese, non portano Gabbani verso la compiutezza artistica cercata. Le liriche trascinano bene l’insieme, conferendo coerenza di vedute e spirito d’impegno, ma le musiche sono ancora troppo “oscillanti”, disperse in un crogiolo musicale complesso ma confuso. Il consiglio, per Gabbani, sarebbe di decidere quale delle due scuole sposare, e impegnarsi poi nel matrimonio: Paradiso o Mengoni.