Presentato in anteprima mondiale al Festival di Berlino, Volevo nascondermi di Giorgio Diritti racconta la vita del pittore Antonio Ligabue, forte della stupefacente interpretazione di Elio Germano, ma anche di un’eclettica costruzione registica.
L’edizione numero 70 della Berlinale – Festival Internazionale del Cinema di Berlino si apre nel segno del Cinema italiano. Il nuovo direttore Carlo Chatrian ha già riscosso il plauso della stampa e dell’industry per la sua visione di un Festival sempre più cosmopolita, attento a dare risalto ai filmmaker indipendenti, i nuovi linguaggi e le produzioni dei paesi in via di sviluppo.
Tra i grandi favoriti di Berlino 2020, in apertura del Festival arriva subito il nuovo, attesissimo film di Giorgio Diritti, Volevo nascondermi. Il biopic dedicato alla vita e l’estro di Toni Ligabue, per altro era anticipato dai migliori pronostici. E in particolare, già da settimane si discuteva dell’incredibile prova di Elio Germano, per quella si impone come la migliore interpretazione della sua carriera.
Oggi, possiamo tranquillamente affermare che non si trattava di rumors né affermazioni arbitrarie. Ma aggiungeremo come la forza di Volevo nascondermi si divida equamente tra un interprete straordinario, e un regista in grado di costruire una struttura audiovisiva ellittica, anti-narrativa e fortemente pittorica, che è il perfetto riflesso del suo protagonista.
Più che la mimesi, il lavoro di Elio Germano rasenta il campo della trasfigurazione mistica. Per quanto il suo Toni Ligabue non abbia nulla della sacra effigie, restando tremendamente umano.
Osservando semplicemente il manifesto, o magari il trailer di Volevo Nascondermi, il volto di Elio Germano si rivela già trasfigurato. Dagli auto-ritratti di Antonio Ligabue, l’attore ha saputo mutuare gli occhi e lo sguardo, il labbro semi-aperto, in una smorfia che sembra di costante sconcerto.
Spezzata tra tormento e tenerezza, orrore e speranza, le visioni che agitavano la mente di Ligabue diventano il cuore pulsante dell’opera di Giorgio Diritti. Un film che tecnicamente non è neanche un biopic, ma la trasposizione cinematografica dell’immaginario, i tratti che distinguono il linguaggio espressivo di quel pittore vissuto tra manicomi e vagabondaggio, che pure ha cambiato il corso dell’Arte del XX Secolo.
La performance di Elio Germano cerca la verità dell’artista e dell’uomo in ogni gesto, senza trascurare il dettaglio infinitesimale, mentre fotografia, montaggio, colonna sonora e struttura narrativa sembrano modellate sull’estetica di un artista selvaggio, che evolve fuori dal ragionamento e dalla logica, definendo il cosiddetto stile Naif.
Volevo nascondermi: sinossi del film
Volevo nascondermi ripercorre la vita di Antonio Ligabue fin dalla primissima infanzia. Fin dalla prima sequenza, il film confonde i piani del racconto, come la memoria dell’uomo confonde passato e presente. Toni è interpretato prima dal piccolo Leonardo Carrozzo, poi in versione adolescente da Oliver Ewy, praticamente il sosia del protagonista di Gummo di Harmony Korine.
Evidentemente, il film è anche un invito a riscoprire l’unicità e il talento di quest’artista, nato a Zurigo nel lontano 1899. Un omaggio a 360 gradi, un grande affresco costruito tra flashback e fast-forward, perché non si perda la memoria dell’opera, né di una vita carica di sofferenza.
Il film racconta come Toni Ligabue sia cresciuto tra incomprensione e violenza. Vedremo i compagni e perfino degli insegnanti che oggi definiremmo bulli, mentre le patologie psichiatriche fanno del ragazzo un reietto, un malato, relegato prima in collegio, poi espulso dalla Svizzera.
Toni ha scoperto la vita dal punto di vista di un bambino abbandonato, discriminato perché italiano, emarginato perché folle. L’amore morboso della madre adottiva è in totale antitesi col rifiuto del padre, che non l’ha mai voluto in casa.
Quando arriva in Italia, l’artista impersonato da Elio Germano non possiede nulla, sa esprimersi a malapena in tedesco, ed è costretto a vivere sulla riva del fiume, sopportando fame, freddo e ogni sorta di privazione.
Ma se perfino il suo stile, agli occhi più superficiali ricorda quello di Vincent Van Gogh, la sua personalità invece e unica. Toni Ligabue è un uomo di campagna, abituato a dialogare con gli animali. E se la gente lo tratta come una bestia, i polli, le galline e i cavalli sembrano invece comprenderlo, rispettarlo più delle persone.
“Ero un uomo emarginato, un bambino solo, un matto da manicomio, ma volevo essere amato.“
Toni Ligabue
Volevo nascondermi seguirà il viaggio di Ligabue lungo le rive del Po, fino alla provincia di Reggio Emilia. Qui troverà la solidarietà e l’affetto di quella brava gente che può cambiare il suo destino. Grazie all’aiuto dello scultore Renato Marino Mazzacurati (Pietro Taraldi) e buona parte della cittadinanza, Ligabue esce dal manicomio, può vivere una vita dignitosa e soprattutto dipingere, dipingere senza sosta.
I suoi quadri arriveranno allora all’attenzione di Giorgio De Chirico e dell’alta società romana, per quanto Volevo nascondermi racconti il tormento che accompagnerà Ligabue fino alla fine, senza escludere nessun aspetto: dalla rabbia che esplode incontrollata al candore di un uomo che è felice come un bambino, solo perché finalmente può comprare un cappotto o una motocicletta rossa.
La sequenza che mostra Ligabue in sella al suo bolide, libero di sfrecciare nella campagna emiliana, accompagnato dall’Inno alla gioia e quel Ludvig Van Beethoven che risuona anche in Arancia Meccanica, è tra i passaggi più intensi del film.
Un film che commuove, grazie a quel miracolo regalato solo dalle grandi interpretazioni, come quella di Elio Germano. Perché in ogni gesto, dai primi piani ai totali, il suo Toni Ligabue esprime l’amore e il rispetto che legano l’attore all’uomo. Sentimenti assorbiti dallo spettatore come per osmosi, che diventa partecipe di un omaggio carico di dignità.
Giorgio Diritti ha scelto una struttura anti-narrativa, che pure trova momenti di distensione e di pace, sempre in armonia col protagonista. L’andatura ellittica della sceneggiatura potrà non convincere alcuni spettatori, più ostili a un film non costruito su una perfetta consequenzialità lineare.
Altri, impazziranno invece per la regia di Volevo nascondermi, ad esempio per le citazioni e gli omaggi al mondo dell’Arte ma anche al cinema di Bernardo Bertolucci: il cortile e il casale che rimanda a Novecento, i porticati che riportano alla mente una delle sue opere più sperimentali, Strategia del ragno.
Non sono forse i fatti al centro di questo bizzarro affresco, ma le sensazioni e le immagini, per una storia che travalica la stessa figura di Ligabue, racconta la tragedia del disagio psichico, di un disperato bisogno d’accettazione e d’amore.
Ma il risultato è moderno, ardito, più coraggioso del 90% del cinema di fiction prodotto in Italia in questi anni. E tra i grandi professionisti che contribuiscono all’efficacia dell’opera, citeremo almeno il Direttore della Fotografia Matteo Cocco e il montaggio curato dallo stesso Giorgio Diritti con Paolo Cottignola.
Dal Festival di Berlino il film di Giorgio Diritti tornerà sui nostri schermi dal 13 maggio. E noi, possiamo solo dirvi di non perdervelo.
Ultima nota a margine. L’interpretazione di Elio Germano è perfino oltre lo straordinario. È un lavoro da manuale, destinato a essere studiato dalle migliori scuole di recitazione. Non solo il volto, gli occhi e la bocca, ma l’attenzione alla postura e il passo risultano straordinari. Sarà difficile dimenticare l’immagine dell’artista piegato su se stesso, il busto avanti e le braccia incrociate dietro la schiena, come se portasse sulle spalle il peso dell’universo intero.
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