Un fantastico garage blues esistenzialista e piacevolmente sporco, che ha forse qualcosa dei contemporanei White Stripes. Lo sfogo urbano di Bugo si riassume in un evento, quello descritto dal titolo, tipicamente legato agli immaginari desolati e imbruttiti della sozzura cittadina; immaginari che anticipano qui, per esempio, la poetica di un Vasco Brondi. La componente strumentale è prevaricante e soffocante, riuscendo a rendere con precisione la voluta atmosfera colma di nichilismo e cinico realismo.
6. Nel giro giusto (2008)
Composizione dal carattere fortemente synthpop, molto fine anni ’00, che riporta una ricerca paradossalmente introspettiva della compagnia altrui. Bugo, solitario per natura, desidera “uscire dal [suo] guscio”, e “socializzare”, ma per farlo si affida a qualcuno che lo introduca in un “giro giusto”. Non è in grado di piacere agli altri da solo, anche perché, canta, che gli altri “mi sembrano sempre più felici di me”, e ne è quindi ovviamente intimidito. Chi conosce questo tipo di sensazione, apprezzerà di sicuro questo grido di aiuto travestito da hit alterna-dance.
Canzone in qualche modo complementare a Nonhotempo. Bugo richiama il bisogno di fermarsi, di prendersi pause, di prendersi del tempo per sé. Lo stile è quello grezzo e bizzarro dei suoi primi lavori, e qui si caratterizza come una sorta di rap su di una base incalzante influenzata dal rock lo-fi. Il genere non può non ricordare quello di Beck Hansen, e il carisma di Bugo è almeno altrettanto strabordante. Si può cogliere qui il Bugo più sperimentale, folle, nevrotico ed eclettico.