Affermare che The New Pope sia la miglior serie tv italiana di sempre può sembrare semplicistico e banale, infatti è facile spiccare quando tutti (o quasi) i concorrenti vanno male… Ma sta di fatto che la seconda stagione della serie di Paolo Sorrentino, si pone a un livello talmente alto rispetto a tutto il panorama televisivo italiano, da aprire una voragine tra sé e tutto il resto, svettando come l’unico prodotto televisivo italiano in grado di competere sullo scenario internazionale, insieme a rarissime eccezioni – pensiamo a Romanzo Criminale e Gomorra specialmente. Se già con la stagione iniziale, The Young Pope, Sorrentino aveva attirato grande attenzione in Italia e all’estero, l’operazione fatta per realizzarne il sequel, non ha eguali e il risultato finale va ben oltre le aspettative.
Perché The New Pope è la miglior serie italiana di sempre:
The New Pope si pone come naturale evoluzione e superamento della stagione precedente, The Young Pope. Allo stesso tempo, questo secondo capitolo della serie, porta in sé tutta la poetica del regista, che si prende la libertà di seguire, assecondare e sbeffeggiare gli standard televisivi e i gusti commerciali. La serie rende sempre più labili i confini tra televisione e cinema, riuscendo a superare l’impasse di una realtà nazionale in cui il formato televisivo fa fatica ad imporsi con alti standard qualitativi.
Galleria d’arte, rivista patinata: la perfezione estetica di The New Pope.
Ciò che salta immediatamente all’occhio, è la spettacolarità delle sequenze: la serie ne è così ricca che alla fine di ogni episodio verrebbe voglia di urlare dalla meraviglia. The New Pope è, prima di tutto, esteticamente appagante. Scorrere tra le sequenze che compongono la serie è come passeggiare in una «galleria d’arte» o sfogliare una rivista patinata. Sorrentino si conferma un maestro nella scelta della geografia e coreografia delle scene. E in questo è coadiuvato da Luca Bigazzi, da sempre a capo del reparto fotografia dei suoi film, in grado di far prendere vita alle perfette simmetrie pensate da Sorrentino.
La ricercatezza delle scenografie — impressionante il lavoro di Ludovica Ferrario, vero e proprio talento cristallino capace di far rivivere il Vaticano con una incredibile accuratezza — è catturata da una macchina da presa fissa in alcuni casi e impegnata in movimenti virtuosistici in altri. Una simile varietà di tecniche è certamente rara nelle serie tv a cui siamo abituati, italiane e non. Ogni singolo fotogramma è denso di significato e il montaggio delle scene non è da meno. Ai lunghi piani sequenza seguono sequenze concitate e un uso massiccio del montaggio alternato. Ed è proprio con questa tecnica che l’estetica di The New Pope raggiunge l’apice. Una delle sequenze più belle in questo senso, è sicuramente quella che, a metà del quinto episodio, mostra le vicende concomitanti di tutti i personaggi della serie, tenute insieme dal sonoro: lo squillo di un telefono ripetuto in modo assordante e la splendida canzone di Leif Vollebekk, Tallahassee. (L’espediente del telefono ha un precedente illustre nel capolavoro di Sergio Leone, C’era una volta in America.)
Tra le critiche rivolte a The New Pope, la più comune è l’accusa di essere un esercizio di stile privo di spessore e senso logico, a tratti blasfemo.
Una serie che ha come protagonisti due Papi realizzata da Paolo Sorrentino, è inevitabilmente una serie provocatoria e, per alcuni, scioccante. Suore che fanno lap dance intorno a croci al neon, papi che somigliano a dei dandy, funzionari corrotti… The New Pope ovviamente, ha indignato una certa parte del pubblico, ricevendo accuse di vilipendio e blasfemia. Ma in realtà, pare non fosse questo l’intento del regista napoletano. Analizzando la serie con la chiave di lettura offerta da Sorrentino, si può comprendere come il regista si sia “divertito”, alla sua maniera, nell’immaginare un Vaticano personale e umano, pervaso da fragilità ma anche, e soprattutto, da tanta ironia. Il divertimento del regista diventa sfrenato soprattutto nelle sigle, dove Sorrentino si concede le libertà più audaci. Se di difetti si può parlare, questi si possono riferire solo a sottigliezze o dipendere dalla soggettività dei gusti degli spettatori.
Giovanni Paolo III, un Papa di «fragile porcellana»
Il Vaticano raccontato da Sorrentino non è un contenitore bello all’esterno e privo di sostanza all’interno. A riempirlo sono innanzitutto i dialoghi, scritti magistralmente da Sorrentino e, come quelli di The Young Pope, eccezionali e indimenticabili. Il “nuovo” Papa interpretato da John Malkovich, Giovanni Paolo III, ci parla dell’unica strada perseguibile in tempi di forte crisi per la Chiesa, «la via media». E i suoi monologhi sulle «isterie dell’amore» racchiudono il pensiero di un uomo «fragile come porcellana», che all’alone di santità di Pio XIII – Jude Law– contrappone una sofferta umanità. La sua sofferenza è dovuta anche a un passato oscuro, che lo tormenta, raccontato in divagazioni molto intimiste. Se Lenny Belardo, il prete eletto dal conclave di The Young Pope, moriva dalla voglia di essere Papa, Sir John Brannox non vuole fare il Papa, è umile e insicuro, ma per questo anche rassicurante e saggio.
Evoluzione dei personaggi secondari
A infondere sicurezza nel nuovo fragile Papa è, come sempre, il segretario di Stato Voiello, interpretato da un grandioso Silvio Orlando. Il ruolo scritto da Sorrentino per questo cardinale, è sicuramente uno dei più riusciti della serie. Voiello già nella prima stagione era caratterizzato da un cinismo volto a realizzare solo ed esclusivamente il bene della Chiesa. In The New Pope il personaggio attraversa un’importante evoluzione, che raggiunge l’apice nel penultimo episodio, ricordandoci «tutto quello che noi non siamo» e dovremmo essere. Voiello incarna perfettamente la visione comica e allo stesso tempo drammatica della vita secondo Sorrentino. Le sue esilaranti battute servono anche a prendere una boccata d’aria durante la visione di questa imponente serie; momenti dissacranti che alla fine relativizzano il resto. L’ultima scena che lo vede protagonista (che non racconteremo per evitare spoiler), è una delle più spassose e cita esplicitamente il capolavoro di Stanley Kubrick, Shining.
Importante anche il percorso di un personaggio secondario come quello di Sofia Dubois, interpretata da Cécile de France, che arriva ad assumere un ruolo sempre più centrale in questa stagione. Meno riuscita è invece l’evoluzione di Esther (Ludivine Sagnier), la donna “miracolata” della prima stagione. La sotto-trama che la vede protagonista infatti, è una divagazione un po’ forzata rispetto alla narrazione principale, ma coerente con lo stile “esagerato” e provocatorio del regista. Allo stesso modo, anche l’iniziale elezione di un Papa intermedio, col nome di Francesco II è un’aggiunta che, forse, si sarebbe potuta evitare.
Numerosi sono i temi d’attualità affrontati da Sorrentino in The New Pope. Dal terrorismo islamico al rischio d’idolatria cristiana che provocherebbe il risveglio di Pio XIII (addormentatosi in un profondo coma nella prima stagione). Dall’emancipazione delle suore —geniale e autoironico l’aver inserito per davvero una suora nana che fuma — agli scandali sessuali all’interno della Chiesa. Nel trattare di tematiche così delicate, è facile cadere nell’approssimazione e alcune di queste sono, infatti, solo accennate. A spiegare la scelta è lo stesso regista, che parla di problematiche che «non si poteva non affrontare». Sorrentino prova dunque a tenere un piede nel realismo, omaggiando possibili scenari futuri. In particolare, grande attenzione è riservata alle “simpatiche” e viziose suorine, che richiamano lavori del maestro Fellini, come tanti altri aspetti della serie del resto. Per Sorrentino:
«Una volta che il Vaticano avrà risolto il problema pressante della pedofilia, quello della parità dei sessi potrebbe essere il prossimo da affrontare. Il Vaticano è un posto molto maschile e ho cercato di prendermi tutti gli spazi possibili per bilanciare.»
Questo e molto altro è The New Pope, un’opera immensa ottenuta solo grazie a uno sforzo enorme da parte di tutta la troupe, come sottolinea Sorrentino nelle sue interviste. La grandezza degli attori e dei collaboratori, guidati dal genio perfezionista e audace di Sorrentino, ci regala un prodotto unico e di rara bellezza, tra le migliori produzioni italiane di sempre.