Quando Liliana Segre stroncò La Vita è Bella: “Film non realistico”

Bocciatura completa, quella di Liliana Segre, per La Vita È Bella e Schindler’s List.

la vita è bella Liliana Segre
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Definire “forte” una donna come Liliana Segre è sminuire ciò che lei è in realtà. Sopravvissuta all’Olocausto, rinchiusa in un maledetto campo all’età di otto anni, nel libro La Memoria Rende Liberi (Rizzoli, 2015) scritto a quattro mani con Enrico Mentana, è possibile trovare la sua terribile esperienza da deportata, ma non solo. La sua riflessione sulla memoria abbraccia molti campi tra cui quello cinematografico, parlando proprio de La Vita È Bella (stasera su Cine34 alle 21).

Nel mirino ci è finito proprio il discusso film di Roberto Benigni che, nonostante i premi Oscar vinti, ha suscitato parecchie polemiche rispetto la veridicità della storia. Non da meno, anche Liliana Segre ha voluto dire la sua in merito a quanto visto ed inserendolo in un discorso ben più ampio rispetto quello prettamente cinematografico.

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Nel libro possiamo leggere come la Segre affermi che il film sia intellettualmente disonesto, in primo luogo. Leggiamo infatti come, secondo la scrittrice, Benigni avrebbe dovuto affermare che quanto raccontato fosse una semplice favola. Così ovviamente non è stato. Andando a fondo, inoltre, il film viene bollato come “senza pretese” nella prima parte e “terribilmente falso” nella seconda.

In altre parole, La Vita È Bella è un film che “banalizza l’Olocausto in nome di una bella finzione“. In particolare, si contesta la figura di Giosuè, il figlio di Benigni. Spiega infatti Liliana Segre che nella realtà dei fatti, era impossibile nascondere un bambino dentro ad un campo. Questo perché, appena sceso dal treno, sarebbe stato giudicato inadatto al lavoro e mandato subito nelle camere a gas.

Non fugge dalla stroncatura nemmeno Schindler’s List, acclamato film di Steven Spielberg, al quale si contesta proprio la presenza di fastidiosi elementi romanzeschi. D’altra parte, proprio sul film di Spielberg, esiste una discussione sociologica legata al fatto che l’opera spielberghiana sia più un film sull’esaltazione della figura dell’industriale che non sulla Shoah in sé.

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