Michael Cimino, la triste storia di un regista dimenticato
Con Il Cacciatore Michael Cimino pensava di aver messo un'opzione sulla sua permanenza a Hollywood. Ma lo star system gli voltò preso le spalle, lasciandolo con la sua paura peggiore: essere ignorato
Tra i film che hanno lasciato un’impronta nel mondo della settima arte non può non essere citato Il Cacciatore, film capolavoro di Michael Cimino con un cast stellare che includeva Meryl Streepe Robert De Niro. Pellicola che in qualche modo dettò il ritmo di un certo tipo di cinema degli anni ’70, quello che si trascinava gli orrori e gli errori della guerra del Vietnam e che, soprattutto, rifletteva su una generazione di giovani per cui l’American Dream così come l’American Way of Life aveva fallito.
Michael Cimino, un enfant prodige
Con Il Cacciatore Michael Cimino si presentò ad Hollywood con il suo vestito migliore, preparandosi ad accettare la nomea di enfant prodige che con la sua bassa statura bilanciata da una personalità forte avrebbe potuto essere un vero e proprio colosso della settima arte.
Nato il 3 Febbraio 1939, Michael Cimino rappresenta la terza generazione di una famiglia italo-americana che sin dall’infanzia dimostrò una spiccata intelligenza che veniva puntualmente applaudita dagli insegnanti delle scuole private dove studiava. Tuttavia l’adolescenza mise in ombra questo suo aspetto: il periodo della pubertà fu, infatti, un periodo di ribellioni, di risse, di cattive frequentazioni.
Furono anni di emozioni cercate sul fondo di una bottiglia, avvicinandosi a persone tutt’altro che raccomandabili. Come ha ricordato lo stesso regista: Quando avevo sedici anni frequentavo ragazzi che i miei non avrebbero mai approvato. Ma quei ragazzi erano così vivi […] C’era così tanta passione e intensità nelle loro vite.
Più tardi, quando l’adolescenza è ormai lontana, Michael Cimino si laurea a Yale, dove studia architettura e pittura. Si trasferisce quindi a Manhattan, dove diventa regista di spot e pubblicità e lo rimane fino al 1971, quando si trasferisce a Los Angeles per inseguire il suo desiderio di diventare uno sceneggiatore. Inizia così la carriera di Michael Cimino nel mondo della settima arte.
I Cancelli del Cielo, o la discesa nell’inferno
Nel 1974 nei cinema esce Una Calibro 20 per lo Specialista, film prodotto e interpretato da Clint Eastwood, che era rimasto particolarmente colpito dalla sceneggiatura che Cimino gli aveva proposto. Il successo del film gli permetterà, solo quattro anni dopo, di dirigere Il Cacciatore che fu un film che sforò tempi di produzione e budget, ma che ottenne un così largo consenso, di pubblico come di critica, da far sì che tutti i problemi venissero accantonati.
Con la vittoria di due Premi Oscar (tra cui Miglior Film e Miglior Regia), Michael Cimino riceve dalla United Artist un budget milionario e carta bianca per dirigere il suo prossimo film. Ed è così che si arriva a I Cancelli del Cielo che non solo fu un flop, ma che sancì il primissimo passo falso per il regista, che finì per entrare nell’obiettivo di un certo tipo di stampa che sembrava non aver altro obiettivo che screditare la figura di questo Napoleone di Hollywood.
Viene velocemente descritto come egoista, auto-indulgente, troppo concentrato su se stesso. La lavorazione de I Cancelli del Cielo viene raccontata come la dilatazione di un uomo ossessionato da se stesso, che sforò ancora una volta budget e tempistiche. Persino Isabelle Huppert descrisse la lavorazione del film come un’odissea durata sette mesi.
Le voci più maligne, oltretutto, arrivarono anche ad affermare che parte del budget speso per il film — che venne bollato come quello che sancì sia il fallimento della United Artist sia quello della New Hollywood — fossero andati nell’acquisto di dosi sempre maggiori di cocaina. I produttori cominciano a farsi indietro, a rinnegare l’enfant prodige: Michael Cimino vede passarsi sotto il naso numerosi progetti su cui non potrà mettere mano: il caso più eclatante, forse, è quello di Footloose, che il regista avrebbe voluto riscrivere come se fosse una pagina aggiuntiva del Furore di John Steinbeck.
Passano cinque anni da I Cancelli del Cielo e in sala arriva il noir L’Anno del Dragone: il film va nuovamente male al botteghino e si presenta come l’ennesima pietra al collo di un regista che sembra essersi dannato a non ricevere più complimenti né dal pubblico né dalla critica.
L’Anno del Dragone, inoltre, sottolinea l’idea che gli americani avevano di Cimino come di un uomo profondamente razzista. Un’idea che aveva già cominciato a solleticare la mente con Il Cacciatore nella famosa scena della Roulette Russa ai danni dei prigionieri effettuata dai vietcong, che è un falso storico.
L’Anno del Dragone, con la sua resa stereotipata dell’universo asiatico, fa cadere sulla testa di Michael Cimino una pesantissima accusa di razzismo. Questo lo porta ad allontanarsi sempre di più dal favore di Hollywood, che comincia a notare un certo rifiuto da parte di Cimino per la verità: non tanto per la scena già citata de Il Cacciatore, ma anche per la semplicità con cui aveva sempre mentito riguardo la sua stessa data di nascita. Durante un’intervista portò una fotocopia di quello che doveva essere il suo passaporto, in cui era segnata la data di nascita 3 Febbraio 1952, sebbene all’anagrafe l’anno registrato è il 1939.
Non aiutò nemmeno l’idea che Cimino aveva sempre dato di sé: ossia quella di un uomo consapevole di essere un prodigio, che forse si sentiva al di sopra delle regole e che era così pieno di sé da non pensare alle conseguenze delle proprie azioni. Viene descritto come un manipolatore, un uomo che non crede nella sconfitta e che non è disposto ad accettare l’idea di commettere sbagli. L’esperienza è, per lui, così brutale, che decide di chiudere i rapporti con la stampa americana, alla quale non concede più interviste. Fino al 2000, quando esce una delle più famose interviste mai realizzate da Vanity Fair, dove dirà:
Tutte le cose che la gente pensa di me non sono vere. Ecco perché non parlo più con la stampa. Le loro accuse sono ridicole.
Il nuovo Michael Cimino
Scappato dagli eccessi di Hollywood e dal potere soverchiante di un’industria che può renderti Dio e miserabile nell’arco di una sola notte, Cimino cerca rifugio di tanto in tanto in Europa. Molto spesso capita in Italia, dove il suo lavoro è molto apprezzato e dove ha in Bernardo Bertolucci uno dei suoi maggiori sostenitori.
Si scopre romanziere: dopo che tutte le sue sceneggiature vengono rifiutate in nome di un veto che Hollywood ha deciso essere irrecuperabile, Michael Cimino scrive un romanzo su una ragazza che attraversa gli Stati Uniti e finisce con l’arruolarsi per la guerra in Corea. Intanto il suo aspetto è diverso: ha i capelli di un biondo chiarissimo, gli occhi quasi sempre nascosti da un paio di occhiali da sole e la chirurgia estetica ha modificato i suoi lineamenti. La pelle è innaturalmente liscia, labbra e zigomi sono gonfi.
Tuttavia è Cimino stesso a spiegare il motivo di questo cambiamento così radicale: Non avevo il giusto allineamento della mascella. I miei denti erano perfetti, ma la mia bocca era troppo piccola. Un intervento chirurgico per risolvere il problema sarebbe alla base dei cambiamenti del suo volto, tanto che durante l’intervista a Vanity Fair lo stesso Michael Cimino chiederà al giornalista di toccargli gli zigomi per sentire se c’era silicone o ossa.
L’esclusione dal mondo di Hollywood si rende ancora più palese nel modo in cui il regista ha scelto di vivere: quasi come un’eremita nella sua casa di Los Angeles, il rifugio dove nemmeno l’amico Mickey Rourke ha mai messo piede. Il ritratto che ne scaturisce è quella di un uomo che è stato deluso dall’arte a cui si era dedicato, una persona un po’ sopra le righe, eccentrico, che si descrive come allergico all’alcol e mai stato dipendente da sostanze stupefacenti.
Questo Michael Cimino è un uomo fragile, che ha perso peso, che addirittura viene descritto come un uomo pronto all’operazione per il cambiamento di genere. Notizia sempre smentita dallo stesso Cimino, che però non transige su quella che è stata la vera tragedia della sua vita. Quando, infatti, gli viene chiesto se ha mai subito abusi in famiglia, lui risponde di aver dovuto affrontare qualcosa di peggio: Essere ignorati.
Una frase che sembra quasi una premonizione di quella che sarà il lato più triste della storia di Cimino: sbagliare un film, essere ignorato da chi conta e, infine, essere dimenticato. Proprio lui che si autodefiniva non solo un bambino prodigio, ma una mente equiparabile a quella di Michelangelo. Michael Cimino è morto nel 2016, all’età di 77 anni, da solo nella sua casa in California: gli amici avevano provato a raggiungerlo per telefono per un paio di giorni, prima di decidersi a chiamare la polizia, che trovò il regista morto nel suo letto.
Nel corso degli anni I Cancelli del Cielo è stato rivalutato e un nuovo Director’s Cut è stato presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Nonostante questo, il film western — che doveva essere a metà strada tra Via col Vento e Apocalypse Now — rimane il fallimento da cui Michael Cimino non si è mai ripreso, quello che lo ha spinto a nascondersi in sala di montaggio con un fazzoletto sulle labbra e le tende abbassate, ad abbuffarsi di cibo con una voracità che aveva fatto pensare addirittura ad un disturbo alimentare. Una cattiva alimentazione che Cimino stesso mise al centro delle discussioni riguardo la sua repentina perdita di peso. Una vita tragica, fermatasi ad un passo dai cancelli del Paradiso e precipitata vertiginosamente verso l’Inferno.