Recensione di Momentum, il nuovo disco dei Calibro 35, approdo e nuovo punto di partenza di un percorso stratificato in più di dieci anni di grande musica.
Anticipato dai singoli Fail it till you make it e Stan Lee, oggi Momentum è finalmente disponibile al pubblico. E se il primo ascolto può disorientare, già il secondo è capace di confermare ciò a cui ci hanno abituato i Calibro 35 dal loro atto di nascita. Il gruppo non ha mai smesso di espandere il proprio universo musicale, uno spazio sonoro in continua dilatazione che ha attraversato, inglobandoli, generi e stili senza mai perdere la propria riconoscibilità.
Sembra quindi lontana quella doppia vocazione al funk e alle atmosfere poliziesche che folgorò tutti con i dischi d’esordio. Se si riesce a cogliere però il percorso che da brani come Eurocrime! e dalle geniali rivisitazioni di Morricone ha portato ad oggi, è possibile intravedere quegli stessi paesaggi urbani evocati dai film di Elio Petri e Umberto Lenzi. Certo sono corroborati, i contorni sono sciolti dal sound acido a cui il gruppo è pervenuto, ma questo è il risultato di una logica di sovrapposizione di linguaggi.
E Momentum, seguendo questa scia, si ricollega al lavoro precedente e lo rinnega. La vena fusion di Decade rivive in un comparto timbrico completamente nuovo. Anche i Calibro 35 sembrano aver ceduto definitivamente alla fascinazione per la musica elettronica, che permea come un alone di realtà aumentata i brani di Momentum. Quei paesaggi vengono quindi visti attraverso uno sguardo nuovo, iper-sensoriale, che trasforma e rielabora continuamente la materia sonora, giungendo alla rarefazione di quella realtà che sembrava esistere fisicamente aldilà della musica nei primi lavori.
Momentum, un punto d’arrivo, un punto di svolta
In questo mosaico così composito ma ad un tempo coeso non sono allora per niente fuori luogo le incursioni nel mondo del rap, un mondo che per primo si è mosso verso i Calibro, quando Dr.Dre e Jay-Z hanno campionato la loro musica, e al quale quindi restituiscono il loro personalissimo tributo.
Se a sostenerli ritroviamo la stessa eleganza e la stessa coerenza negli arrangiamenti, gli interventi di Illa J e MEI saranno perfettamente incastonati in un quadro a suo modo armonioso nel contrasto. E così è per le tracce Stan Lee e Black Moon, che peraltro apportano un ulteriore pregio: il rischio che si cela dietro queste grandi poemi strumentali è la ripetitività. Un pericolo reso tangibile dal groove insistente che sostiene pedantemente le raffinatezze armoniche e musicali del gruppo. Spezzando invece la continuità della narrazione sonora, questi due brani creano un ritmo unico nell’ascolto globale del disco.
Un disco dalla natura quindi doppia. Se da un lato siamo inequivocabilmente di fronte ad un lavoro dei Calibro 35, si ha però come la sensazione che la band abbia iniziato a rovesciare il proprio punto di vista. L’evocazione di certe atmosfere avveniva guardando alla musica del passato: oggi invece i Calibro 35 sembrano guardare alla musica del domani.
D’altronde Death of storytelling, l’estremo più pop di un’opera senza alcun rigore classico, suona quasi come la consapevolezza post-moderna della fine delle grandi narrazioni, musicali in questo caso. In tal senso l’approdo all’elettronica assume tutto un altro significato, e pur non estraniandosi da quel processo di accumulazione linguistica che la band porta avanti da più di un decennio, Momentum sembra l’inizio di un nuovo ciclo.