L’inquietitudine dei Cage The Elephant: Recensione di Social Cues

Recensione Social Cues
La copertina dell'album Social Cues
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Recensione di Social Cues, l’ultima fatica dei Cage The Elephant.

Social Cues è il quinto e ultimo album dei Cage The Elephant, tra i capofila dell’indie rock americano. Dal Kentucky hanno conquistato le classifiche inglesi e si esibiscono sui maggiori palchi mondiali. Tra le prossime tappe del loro tour in Europa anche il Fabrique di Milano, dove suoneranno il 4 marzo. Tra gli estimatori e gli ascoltatori occasionali della band sembra essersi affermata, per la maggior parte, l’idea che questo disco segni l’avvenuta maturazione della band guidata da Matthew Shultz.

Intro al disco

Ebbene, Social Cues è e non è il disco della maturità per i Cage The Elephant. Una delle principali caratteristiche che contraddistinguono la band è la loro incapacità di seguire una traiettoria lineare attraverso i loro lavori, cosa che alle volte incide nel produrre album o brani dello stesso valore qualitativo. Ma questo è un problema che coinvolge la maggior parte degli artisti che di musica ci vivono. L’incostanza, in ogni sua sfaccettatura, dei Cage ritorna anche in questo loro ultimo lavoro in studio, all’interno del quale si possono trovare brani decisamente più intriganti di altri. Con la stessa facilità i Cage passano tra un genere all’altro. In maniera versatile i musicisti del Kentucky sperimentano nuove influenze musicali, per poi abbandonarle.

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Recensione Social Cues
Cage The Elephant

Le influenze

Così anche in Social Cues le influenze musicali tornano e si sentono, a cominciare dai Black Keys, il cui leader Dan Auerbach aveva prodotto proprio l’album precedente dei Cage The Elephant: Tell me I’m pretty. Ancora, è percepibile un certo eco dei Kasabian, data la forte influenza musicale inglese sulla band, ascoltabile nei brani dai riff più energici, come Broken boy. Brano in cui la batteria con un ritmo concitato sembra imporsi sulla melodia, come del resto in altri brani estratti dal disco.  Più americani e sonoramente elettrici sono Black Madonna, Tokyo Smoke o Night Running, brano in cui spicca l’estro di Beck. Le influenze arrivano fino a Lana del Rey e il suo indie soul che si riversa in brani come What I am becoming, Love’s the only way e Goodbye.

Maturità o no?

Ma tutte queste influenze si amalgamano sapientemente all’interno di Social Cues, mescolandosi all’insegna di un indie rock che costituisce il marchio di fabbrica dei Cage The Elephant, ma gestito ora con la maturità che una band può raggiungere dopo più di un decennio di carriera. La stessa maturità che si può avvertire anche nei testi, che si fanno più cupi e malinconici, nei quali trovano espressioni disagi e problemi della vita personale di Shultz e soci.

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Ritorna il mito delle rockstar disilluse e frustrate dal successo, l’angoscia e i conflitti che ne scaturiscono. O ancora il divorzio del cantante che riversa nel disco tutta la sua amarezza e la consapevolezza di quanto perso. Insomma, Social Cues è l’album della maturità dei Cage The Elephant e non, in cui si presenta lo stesso spirito, la stessa energia degli inizi ma con una consapevolezza diversa, dettata dalla vita vissuta, che trasuda in ogni singolo brano del disco. La sorpresa più grande sarà quella di ascoltare il disco presentato sui palchi, dove i Cage the Elephant sono delle vere e proprie macchine da guerra.

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